Fossati contro Telecom e inizia la battaglia

 In questi giorni molte aziende e soprattutto quelle quotate in borsa, sono tenute e presentare all’assemblea degli azionisti i bilanci riferiti al 2012 spiegando a quanto ammontano i dividendi, se ce ne sono, oppure motivando la situazione di crisi finanziaria.

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Ci sono aziende che hanno spartito con gli azionisti dividendi molto piccoli, ma comunque di buon auspicio per le attività economiche del 2013. Ci sono poi altre aziende, com’è il caso di Telecom, che al contrario hanno ridotto ancora il dividendo per gli azionisti.

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Chiaramente non poteva star bene a tutti questa situazione e, per il caso di Telecom, è scoppiata la baraonda, in seguito alla decisione di un azionista di far mettere all’ordine del giorno della prossima all’assemblea, il voto di fiducia al management in carica.

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Marco Fossati è socio del gruppo Telecom del quale detiene il 4,9 per cento del capitale. Il prossimo appuntamento della società che lo vedrà protagonista, è l’assemblea del 17 aprile, quella in cui si dovrà approvare per l’appunto il bilancio del 2012. I problemi, però, sono già noti, visto che quest’anno il dividendo per gli azionisti è calato ancora arrivando a quota 2 centesimi per azione. Nel 2007 questo stesso dividendo era quattro volte più grande, prossimo agli 8 centesimi. Secondo Fossati, questa riduzione del valore delle azioni deve essere attribuita anche ad una cattiva gestione della società.

L’Italia è il paese più colpito dalla crisi

 Stando a quanto riportato dall’Unione Europea, l’Italia è stato il paese che di più ha sofferto dello stress economico creato dalla crisi globale iniziata nel 2008. Rispetto alla media di tutti gli altri paesi europei, tra i quali figurano anche Spagna e Cipro, due dei paesi che al momento sono nelle condizioni peggiori, in Italia c’è il 15% in più di persone in difficoltà e la produttività si è abbassata del 2,8% in più.

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Nel rapporto sulla disoccupazione rilasciato da Bruxelles in queste ore, si legge:

Lo stress economico ha avuto ripercussioni in Bulgaria, Cipro, Irlanda, Portogallo, Grecia, Spagna e soprattutto Italia, dove è salita al 15% la popolazione in difficoltà economica. In seguito a crescita debole o negativa, cala la produttività in Ue e l’Italia ha fatto registrare di gran lunga il suo calo più accentuato: -2,8% nell’ultimo trimestre 2012, dopo il calo ancora più forte del 3% del precedente trimestre.

Stesso discorso anche per la disoccupazione, che nel nostro paese ha subito, nell’ultimo trimestre, l’accelerazione più marcata: in Italia il dato si è attestato allo 0,5% in più, facendo così arrivare l’Italia al primo posto, seguita da Polonia (+0,3%), Spagna (+0,1%) e Francia (+0.1%).

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Gli altri dati che emergono dal rapporto trimestrale sull’occupazione dell’Unione Europea riguardano il perdurare delle difficili condizioni lavorative complessive, con la disoccupazione che nel mese di gennaio ha raggiunto quota 26,2 milioni di persone, pari al 10,8% della popolazione economicamente attiva, e il divario che si va sempre più allargando tra l’Europa del nord e l’Europa del sud: 10 punti percentuali nel 2012.

La diatriba sui transfrontalieri italiani

 I paesi che confinano con il nostro sono disponibili all’accoglienza dei lavoratori italiani, tutti tranne gli svizzeri che in questo periodo hanno lasciato una campagna elettorale contro i transfrontalieri. Ecco la situazione del momento.

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L’allarme riguardo la questione dei transfrontalieri è stato lanciato dal principale partito svizzero, l’Udc che si sta preparando alle elezioni di Lugano del 14 aprile. A Lugano, infatti i frontalieri italiani sono circa 8 mila ma se si poi si contano tutti i lavoratori italiani che prestano la loro opera nel Canton Ticino, si arriva a circa 56 mila unità.

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Questa situazione è agevolata dal fatto che la retribuzione tra italiani e svizzeri è diversa. Infatti i frontalieri italiani, rispetto agli svizzeri, sono nelle condizioni di poter accettare compensi che sono anche del 40 per cento inferiori rispetto a quelli percepiti dagli svizzeri.

Lo slogan è emblematico ed è “Rischiamo di restare tutti in mutande” e oltre ad essere stato lanciato dall’Udc è sostenuto anche da altri movimenti di destra svizzeri, per esempio la Lega dei Ticinesi che non vedono di buon occhio gli italiani che arrivano soprattutto dalle provincie di Como, Varese, Verbano Cusio Ossola. La situazione sembra ancora più grave da quando gli italiani frontalieri hanno occupato delle posizioni interessanti nel settore terziario.

La riforma Fornero non piace alle imprese più piccole

 Le piccole e medie imprese sono considerate la struttura portante del nostro paese e di recente sono al centro di una serie di riforme e provvedimenti. Per esempio con il progetto PiùBorsa si cercherà di promuovere l’ingresso delle PMI in Borsa visto che il listino principale del Belpaese sta perdendo i pezzi e tra le SpA quotate le PMI sono davvero poche.

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Sempre dal settore lavorativo arriva anche un’altra notizia che non è del tutto positiva e riguarda l’indice di disoccupazione che in Italia e soprattutto al Sud è arrivato alle stelle. Una donna su cinque, nel Meridione del Paese, non ha un lavoro.

La ricognizione, però, non si ferma a questo livello visto che arrivano novità dalle piccole imprese, riguardo l’ultima riforma del mercato del lavoro, quella firmata dal ministro Fornero. Sembra infatti che dopo le modifiche apportate dal documento in questione, la disoccupazione sia cresciuta, l’occupazione sia diminuita e non sia assolutamente combattuta la precarietà del lavoro.

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Questa sonora bocciatura arriva dalle piccole imprese che oltre a prendere atto del cambiamento in negativo che c’è stato nel mondo del lavoro italiano, vedono anche in modo “nero” il futuro dove non sembrano esserci segnali di un’inversione di tendenza, almeno per quello che riguarda alcune tipologie di contratto: i lavori intermittenti, i lavori a chiamata, i contratti di consulenza con partita IVA.

Le donne al Sud lavorano meno

 Ci sono almeno due elementi che possono influenzare in modo deciso il rating del nostro paese: la situazione economica e la situazione lavorativa. Per quanto riguarda il panorama economico, in questo momento, non ci sono grossi barlumi di speranza visto che anche Mario Draghi ha posticipato la ripresa al 2014.

Le imprese attanagliate dal pessimismo

Il settore lavorativo-professionale, purtroppo, non va meglio e l’ultima ricerca che riguarda l’occupazione femminile nel paese, non depone e favore dell’Italia. I dati sono forniti dall’Istat e riguardano il 2012. In pratica si parla del tasso di disoccupazione tra i giovani e dell’inattività degli italiani, nonché della distribuzione geografica dei posti di lavoro.

La crescita dell’Europa è ancora lontana

Quello che emerge è che il tasso di disoccupazione femminile nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 24 anni, è salita fino al 49,9 per cento. Un dato preoccupante, aggravato dalla presa di coscienza del fatto che le donne inattive tra i 24 e i 60 anni sono addirittura il 60 per cento della popolazione.

Nel 2012, si scopre che una donna su cinque, residente nel Sud del paese, era disoccupata e questa quota di “non lavoratrici” è cresciuta in un anno, dal 2011 al 2011 del 3,2 per cento. I dati, però, non sono indicativi di una situazione di discriminazione visto che anche per gli uomini, questi non sono tempi d’oro. Al Sud, infatti, la disoccupazione maschile è in crescita del 3,8 per cento fino al 15,9 per cento e se poi si fa una zoom tra i giovani, quelli tra i 15 e i 24 anni, di scopre che i disoccupati sono il 45,1 per cento.

Le piccole imprese bocciano la Riforma Fornero

 I numeri che emergono dal sondaggio fatto dalla Ispo-Confartigianato mostrano come la Riforma Fornero, che avrebbe dovuto sistemare il mondo del lavoro in Italia, non sia riuscita nel suo intento, anzi, sembra davvero che abbia peggiorato la situazione.

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Secondo il sondaggio, infatti, dopo l’entrata in vigore ad inizio anno della Riforma, la disoccupazione è aumentata fino a toccare quota 11,7%, percentuale doppia rispetto alla media europea, sono stati persi 1.641 posti di lavoro al giorno e nessun risultato è stato ottenuto per far diminuire la precarietà che attanaglia le giovani generazioni: anche il numero dei contratti atipici continua a scendere trimestre dopo trimestre.

Ovviamente non tutto può essere attribuibile a quanto il ministro Fornero ha deciso di fare: la crisi economica è un fatto che accomuna tutto il mondo, a parte i paesi in via di sviluppo, ma, se anche dopo che è stata varata una riforma che avrebbe dovuto apportare qualche miglioramento, i risultati continuano a peggiorare, è una chiara indicazione che nella riforma stessa c’è qualcosa che non va.

A confermare questa intuizione c’è il sondaggio della Confartagianato, che mette in evidenza come, soprattutto tra le piccole imprese, il malcontento è molto diffuso: il 65%, infatti, ha bocciato in pieno la riforma, dichiarando che ha avuto solo effetti negativi sia sull’occupazione che sulla crescita.

Giorgio Merletti, presidente della Confartigianato, ha così commentato i dati:

Le nostre rilevazioni confermano quanto avevamo temuto e denunciato: la riforma Fornero ha frenato la propensione ad assumere e ad utilizzare contratti flessibili, ha aumentato il costo dell’apprendistato e dei contratti a tempo determinato, senza peraltro alcuna riduzione del costo del lavoro dei cosiddetti contratti standard. Inoltre la confusa formulazione delle norme su partite iva e associazioni in partecipazione, sta determinando un freno anche rispetto al lavoro autonomo genuino e, conseguentemente, al sistema produttivo. Ed ha ulteriormente complicato la normativa sul lavoro. Insomma, tutto il contrario rispetto a ciò che serve.

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La Riforma Fornero aveva tra gli obiettivi primari quello di ridurre la precarietà tra i giovani, introducendo dei disincentivi per i contratti a termine, soprattutto in termini di costo. Anche se secondo i dati rilasciati dal Ministero del Lavoro i contratti a termine sarebbero passati dal 63,1 % al 65,8% dopo la Riforma, gli artigiani intervistati, nel 59% dei casi, dicono il contrario, affermando di non aver intenzione di rinnovare i contratti a termine già attivi.

I dati concordano, invece, per quanto riguarda i contratti a chiamata (chiamati anche a intermittenti o job on call): nel primo semestre di applicazione della riforma si sono ridotti del 37,4 % rispetto al secondo semestre del 2011. Stesso discorso per i contratti parasubordinati: – 15,3 %. In media entrambe le tipologie scendono del 24,4 %.

 

 

Donne e occupazione, un confronto impari

 Il rapporto Istat sulla disocupazione in Italia ha messo in evidenza come sia sempre più difficile trovare un’occupazione nel nostro paese. Tanti laureati a spasso, ma non solo loro: ad essere colpiti dalla mancanza di un impiego sono tutte le categorie della fascia d’età compresa tra i 15 e i 35 anni, con un aumento su base annua pari al 32,3%.

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Ma la mancanza di lavoro, anche se colpisce più o meno ugualmente i giovani senza grandi distinzioni in merito al titolo di studio, si accanisce in particolare su di alcune categorie: le donne, soprattutto se residenti al sud.

Infatti, secondo quanto riportato dall’Istat, al Sud sono circa 87 mila le donne senza lavoro, mentre al centro sono 65 mila e nelle regioni del nord ‘solo’ 45 mila. Nelle regioni del Mezzogiorno una donna su cinque è senza lavoro, percentuale in crescita del 3,2% rispetto al 2011.

Se si considera poi una fascia di età più ristretta, quella che riunisce le donne tra i 15 e i 24 anni, i dati sulla disoccupazione femminile sono ancora più severi: il tasso di disoccupazione sale al 49,9 %, con le inattive (dai 24 ai 60 anni) che salgono oltre il 60%.

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L’inattività femminile è in crescita dell’8,6%, rispetto al 2011, quelle che non ritengono di riuscire a trovare lavoro. Insomma rassegnate all’inattività.

Rapporto Istat disoccupazione: record di dottori senza lavoro

 Prendere una laurea non significa, in Italia, avere un posto di lavoro. Lo sanno bene i 197mila giovani italiani che, pur con il loro pezzo di carta in tasca, fanno parte della sempre più folta schiera di senza lavoro.

► Indagine Almalaurea sulle condizioni lavorative dei neolaureati

E’ questo quanto emerge dal rapporto Istat sulla disoccupazione, un documento che mette in evidenza come il numero dei laureati specializzati in Italia sia sempre di più in crescita: +27,6% rispetto al 2012 e, questo è il dato che allarma di più, il 43% di disoccupati in più rispetto al 2008, anno di inizio della crisi.

La disoccupazione è uno dei problemi più urgenti dell’Italia, non solo quella che riguarda i ragazzi che hanno un titolo di studio di livello accademico, l’intera popolazione con un’età compresa tra i 15 e i 35 anni, tra questi i laureati senza lavoro sono circa 307 mila, i disoccupati con licenza elementare sono il 25% e quelli senza lavoro con licenza media sono il 24,6%. I disoccupati con un diploma sono il 18,9% del totale dei senza lavoro.

Anche se la percentuale di dottori senza lavoro sembra essere la più consistente tra le categorie analizzate, rimane comunque il fatto che chi è in possesso di una laurea ha più chance di trovare un impiego rispetto ai coetanei con titolo di studio inferiore.

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Altro dato che lascia intendere la sfiducia dei giovani italiani nei confronti del mondo del lavoro è il numero degli inoccupati, intendendo con questo termine i giovani che non studiano, non lavorano e non sono neanche in cerca di un impiego: in totale sono mezzo milione di persone.

 

L’incredibile ascesa di Yalla Yalla

 Si chiama Yalla Yalla e per chi non lo sapesse è una delle agenzie di viaggi online più conosciute del web. L’anno scorso, l’anno che è passato alla storia come quello più critico per il Vecchio Continente, l’agenzia ha chiuso con un fatturato da 28 milioni di euro. Per il 2013, quindi, non ci si aspetta certo di fare un passo indietro, anzi, la crisi non dovrebbe rallentare la crescita a due cifre. Questa la dichiarazione d’intenti del fondatore di Yalla Yalla.

V.me è vera rivoluzione?

L’agenzia, per tenersi a galla e restare comunque un punto di riferimento, ha deciso di puntare molto sull’e-commerce che anche nel nostro paese sta vivendo una fase di crescita. Nel 2012, per esempio, c’è stato un incremento delle transazioni commerciali su internet del 25,5 per cento che equivalgono a circa 12,8 miliardi di euro.

Carta Viva Web di Compass

Il Politecnico di Milano che periodicamente fa delle analisi del pubblico della rete, spiega che nel 2012 gli utenti italiani della rete che hanno deciso di fare acquisti su internet sono soltanto il 15 per cento del totale. Ben al di sotto della media europea fissa al 44 per cento, ma Yalla Yalla, evidentemente, ha informazioni differenti.

In più sembra che ad accusare le maggiori sofferenze siano sempre i siti che offrono beni immateriali, quindi anche i pacchetti vacanze. Che si prepari l’inversione di tendenza?

 

Le imprese attanagliate dal pessimismo

 In America va molto di moda tenere il polso del sentiment degli utenti e dei consumatori. Un indicatore che aggiunto alla considerazione  di altre variabili, è in grado di dirci se l’economia del paese è davvero in una fase di ripresa e se i cittadini, con le loro spese, ci credono e la sostengono.

In Italia, anche se i metri di valutazione non sono così raffinati, si fa un tentativo analogo: capire cosa pensano le aziende e cosa i consumatori. Si occupano delle rilevazione, in genere, le associazioni di categoria.

 La situazione del reddito degli italiani

Confcommercio, di recente, ha preso in esame il sentiment degli imprenditori, è andata a cercare un sostegno alla sua teoria tra le imprese. Cosa ne ha dedotto? Che il 42 per cento degli imprenditori ritiene che il 2013 non sia affatto l’anno della rinascita ma sia ancora peggiore del 2013. Un’altra fetta d’intervistati, il 52 per cento, ritiene che l’anno in corso non sia molto diverso dall’anno scorso, quindi scorrerà lentamente e non darà buoni risultati. Una ristrettissima minoranza, il 6 per cento, infine, pensa che l’economia italiana, contrariamente alle parole di Draghi, migliorerà entro dicembre.

 Un rinnovato ottimismo percorre le borse europee

Di norma a regolare gli scambi nel nostro paese c’è un diffuso pessimismo che prevale anche sui timidi segnali di ripresa che in qualche settore ci sono già.