Quanto costa un dipendente a tempo determinato?

 La riforma del lavoro voluta dal Ministro Fornero ha creato un certo scompiglio in tutti i settori economici, anche se le intenzioni, molto probabilmente, erano quelle di dare un aiuto ai lavoratori ad avere delle condizioni contrattuali più favorevoli, disincentivando il ricorso a contratti a tempo determinato.

► Le imprese italiane temono di chiudere

Lo strumento per raggiungere tale obiettivo è stato, come molto spesso accade, l’aumento delle aliquote delle tasse che il datore di lavoro deve pagare sui dipendenti e un aumento delle ritenute in busta paga. Il risultato?

Un numero quasi invariato di contratti a tempo determinato e salari sempre più bassi.

Ad esempio, come riportato da Il Sole 24ore, un operaio edile assunto a tempo determinato in un’azienda con 15 dipendenti, guadagna giornalmente 47,07 euro, come la maggior parte dei lavoratori assunti nelle stesse condizioni. All’azienda, però, non costa così, perché si devono aggiungere 5 euro per il fondo pensioni, 3 euro circa per la cassa integrazione, due euro per l’indennità economica di malattia, il prelievo dello 0,9% per la cassa integrazione straordinaria e il prelievo Aspi (1,4%).

► I motivi del boom delle partite Iva under35

Quindi, alla fine dei conti, le aziende pagano una volta e mezza quanto dovuto ai dipendenti, una cifra che va tutta nelle tasche dello Stato e, per come è la situazione attuale dell’Italia, non serve certo a dare garanzie a lungo termine né ai lavoratori né alle aziende.

In Italia chiudono 167 negozi al giorno

La crisi economica ha colpito duramente le attività produttive e le famiglie, ma anche il settore del commercio è stato pesantemente investito dal trend negativo della recessione. A confermarlo sono i dati di Confesercenti, che tracciano un bilancio dell’andamento del settore nei primi due mesi del 2013.

Consumi italiani ai livelli del 2004

Tra gennaio e febbraio in Italia si è potuta registrare la chiusura di oltre 10mila attività commerciali, ovvero una media di 167 imprese commerciali in meno ogni giorno. Le nuove aperture, poi, sono diminuite del 50% e se il trend negativo si confermerà come tale fino a fine anno, il commercio italiano perderà in totale qualcosa come 60mila imprese. Per Confesercenti, inoltre, si tratta dei dati più negativi degli ultimi 20 anni.

In aumento le imprese straniere in Italia

Ad essere maggiormente interessati dal fenomeno sono state le aree del Centro-Nord, ma la città che sembra aver sofferto del maggior numero di chiusure è la capitale, dove già si può parlare di una bolla dei negozi sfitti. Le conseguenze di questo stato di cose sono infatti di un certo rilievo sia per il settore immobiliare, sia per quello occupazionale. Se il trend negativo continuerà fino alla fine del 2013 si stima una perdita complessiva di circa 200mila addetti del settore e di miliardi di euro in affitti non percepiti.

Information Technology, la nuova frontiera dell’occupazione?

 L’innovazione tecnologica è tutto ciò che ruota attorno ad essa è la nuova frontiera dell’occupazione, ma i giovai europei non sono ancora pronti ad accettare la sfida. O meglio, non sono abbastanza preparati per accedere ai circa 400 mila posti di lavoro vacanti nel settore dell’information technology.

► Previsioni occupazionali per il prossimo trimestre secondo Manpower

Questo è quanto emerge dal rapporto “Crescita, competitività e lavoro” presentato ieri sera dal presidente della Commissione europea José Manuel Barroso al summit dei capi di Stato e di Governo dell’UE.

Secondo i dati presentati da Barroso c’è un enorme divario tra i posti di lavoro messi a disposizione dal settore dell’information technology e il numero di laureati che potrebbero occuparli: solo 100mila ogni anno, contro un’offerta di 400 mila posti per il 2014 che diventeranno 800mila nel 2015.

Le cause del divario sono da ricercarsi nella scarsità degli investimenti in ricerca e sviluppo fatti dai paesi dell’UE: sono infatti solo due i paesi europei (Finlandia e Svezia) che rispettano obiettivo di un rapporto del 3% tra investimenti in R&S e Pil, tutti gli altri prevedono delle percentuali molto minori che tendono ad abbassarsi ulteriormente nei paesi che maggiormente in crisi.

► Indagine Almalaurea sulle condizioni lavorative dei neolaureati

Ovviamente l’Italia si prende un altro record negativo: solo il 21% dei giovani nella fascia di età 30-34 anni possiede una laurea. Ciò vuol dire che sarà molto difficile raggiungere l’obiettivo minimo del 40% previsto per il 2020.

Previsioni occupazionali per il prossimo trimestre secondo Manpower

 Solo il 6% dei direttori del personale intervistati da Manpower ha dichiarato di avere in previsione delle nuove assunzioni per la prossima primavera. Un numero molto esiguo che evidenzia le perduranti difficoltà del mercato del lavoro in Italia. Il restante 94% delle aziende italiane o manterrà il numero dei dipendenti stabile o ha intenzione di tagliare ulteriori posti di lavoro.

► Indagine Almalaurea sulle condizioni lavorative dei neolaureati

Questo è quanto emerge dal sondaggio effettuato da Manpower sulle intenzioni delle aziende italiane per  aprile, maggio e giugno 2013. La propensione all’occupazione dei datori di lavoro italiani -saldo aritmetico tra la percentuale coloro che prevedono un incremento della propria forza lavorativa e quella di chi annuncia una diminuzione- quindi, fa registrare un -10%.

A far registrare il dato peggiore sono le aziende del Nord-Est, da sempre considerate le più in salute, con un -13% del valore della propensione all’occupazione. Ma il dato è negativo, anche se in misura leggermente minore, anche per tutte le altre zone d’Italia.

► Secondo l’Ocse è stato raggiunto un nuovo record del tasso di disoccupazione

A livello di settore sono le costruzioni e il commercio, sia al dettaglio che all’ingrosso, a registrare i dati peggiori.

Secondo Stefano Scabbio, presidente e amministratore delegato di Manpower Italia:

gli indicatori prospettano una graduale ripresa dell’economia a partire dal2014, rimane noto che i positivi effetti sull’occupazione si manifestano in tempi più lunghi e le aziende, prima di tornare ad assumere, attendono una prolungata stabilità del mercato.

Ritardi nella crescita secondo la BCE

La BCE  – Banca Centrale Europea – ha emesso il bollettino mensile sulla situazione economica che si troverà ad affrontare l’Eurozona nei prossimi mesi. Le previsioni più ottimistiche fanno sperare in una ripresa che sarà graduale nel secondo semestre, ma vi sono all’attivo anche delle forze negative che potrebbero alterare o compromettere questi dati, dunque ritardare la ripresa economica.

Le forze negative sono da considerare dei “rischi al ribasso” con il potere di porre un freno alla ripresa: fra questi, soprattutto, vi è la lenta o insufficiente attuazione delle riforme strutturali.

Bollettino mensile BCE: Europa ancora in recessione

Per far fronte al problema delle riforme strutturali, secondo la BCE, è necessario che i governi combattano la disoccupazione giovanile, creando nuove opportunità di occupazione e di lavoro, promuovendo forme economiche dinamiche e flessibili.

Altro tema bollato come nero e dunque interessato da eventuali riforme è quello del debito pubblico degli Stati membri. La BCE fa notare come alcuni debiti pubblici abbiano raggiunto livelli veramente rari in tempi di pace, ed è proprio questo e il rapporto negativo  con il relativo PIL che può valere come ostacolo alla crescita.

La Germania all’attacco della Banca Centrale Europea

All’interno del bollettino viene segnalato infine il fatto che nell’Eurozona le condizioni per la concessione del credito a piccole e medie imprese appaiono in genere restrittive.

Incentivo per i datori di lavoro che assumono i licenziati delle PMI

 Il Ministro Elsa Fornero ha deciso di chiudere il suo mandato con un decreto che, anche se non apporta significativi cambiamenti alla disastrosa situazione lavorativa in cui versa l’Italia, può essere comunque uno stimolo per dare nuova speranza a chi ha perso il lavoro negli ultimi mesi.

Nello specifico il decreto voluto dal Ministro si rivolge ai datori di lavoro che vorranno assumere i licenziati delle Piccole e Medie Imprese per giustificato motivo oggettivo (GMO). Per giustificato motivo oggettivo si intende un licenziamento dovuto a riduzione, trasformazione o cessazione di attività o di lavoro.

Questi lavoratori, a patto che siano stati licenziati nei dodici mesi precedenti l’assunzione porteranno a chi li assume un incentivo di 190 euro in forma capitaria (cifra fissa mensile, riproporzionata per le assunzioni a tempo parziale), valido sia in caso di assunzione full time o part time, con contratto a tempo determinato o indeterminato.

L’incentivo sarà versato per tutto l’arco del durata del rapporto di lavoro, per un massimo di 12 mesi in caso di assunzione a tempo indeterminato e per un massimo di 6 per contratti a tempo determinato.

Le risorse stanziate per l’erogazione dell’incentivo -gestita dall’Inps con procedura informatizzata e automatica fino a capienza delle risorse stanziate- sono pari a 20 milioni di euro.

 

Banche in crisi si torna a parlare di esuberi

 Se una banca sta bene, con i conti e con i prodotti erogati, insomma ha i suoi clienti e quasi tutti sono buoni debitori, non può certo parlare di esuberi, perché di forze fresche ne ha bisogno. Invece, come sappiano, anche le banche più forti, oggi, vacillano sotto il peso di una crisi prolungata. Gli aiuti che alle banche sono stati forniti prima dalla BCE e poi dallo Stato, sembrano quasi insufficienti.

Vodafone taglierà 700 dipendenti

Da cui a quattro anni, fino al 2017, il mondo delle banche dovrà stare dietro ai licenziamenti. Complessivamente sono stati messi in lista ben 43 mila esuberi. Di questi, 23 mila sono già stati portati a compimenti nel triennio che va dal 2008 al 2011. Che le banche abbiano degli esuberi e che si proceda con i licenziamenti, vuol dire che ci saranno presto le chiusure degli sportelli, gli esodati e coloro che “si salveranno” usando uno scivolo.

Chiusura in rosso ed esuberi per Barclays

Il presidente della Federazione Autonoma Bancari fa sapere però che soltanto il 10 per cento dell’incremento delle sofferenze bancarie può essere attribuito alla crisi, il restante 7 per cento si deve alla cattiva gestione. C’è poi la burocrazia che ci mette lo zampino ritardando la ripresa. Le dieci banche che adesso saranno colpite maggiormente dagli esuberi potrebbero conoscere la flessione del titolo in borsa per questo le riportiamo di seguito sperando di dare una mano agli investitori. Si tratta di Monte dei Paschi di Siena, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Gruppo UBI, BNL, Cariparma, Banco Popolare, BPM, Gruppo Delta e Banca delle Marche.

Vodafone taglierà 700 dipendenti

 In tempi di crisi i tagli al personale non risparmiano nessuno. Nemmeno i grandi colossi della telefonia e della tecnologia, come Vodafone Italia, che ha oggi presentato ai sindacati un piano che prevede il taglio di 700 esuberi strutturali nei prossimi due anni.

Secondo la direzione aziendale il piano trova la sua giustificazione nella necessità di contenere i costi. Con 700 risorse in meno, infatti, Vodafone prevede di risparmiare nel giro di due anni circa 160 milioni di euro. Le procedure di mobilità partiranno da lunedì.

Vodafone è in rosso di 2,5 miliardi

I sindacati dei lavoratori aziendali, tuttavia, si sono detti pronti allo sciopero qualora l’azienda, in questa delicata situazione, decidesse di non aprire trattative con le dovute rappresentanze.

L’intenzione di ridurre il personale, fanno sapere i portavoce dell’azienda, è dettata dalla particolare congiuntura economica negativa che il settore delle telecomunicazioni sta attraversando, e che da due anni a questa parte erode costantemente margini e fatturati. A questa situazione macroeconomica si deve aggiungere il clima di grande competizione e il pesante calo dei prezzi che ne sono scaturiti.

I ricavi di Vodafone in calo nel terzo trimestre

E’ volontà di Vodafone continuare ad investire in Italia per migliorare qualità della rete e dei servizi (si parla di altri 990 milioni), ma ciò deve passare attraverso una necessaria riorganizzazione aziendale che privilegi l’efficienza.

Disoccupazione italiana record a gennaio 2013

 L’Istat ha reso noti i dati relativi alla percentuale di disoccupati e degli occupati presenti nel nostro Paese in relazione al primo periodo del 2013, dunque al mese di gennaio.

Mario Draghi su occupazione e euro

La tendenza generale vede dunque un aumento dei disoccupati italiani del 3,8%, che così raggiungono esattamente i 2 milioni e 999 mila con un incremento di 110 mila unità rispetto al precedente mese di dicembre.

Per quanto riguarda il fenomeno della disoccupazione in Italia si registra quindi un aumento del 22,7% su base annuale, pari all’incirca alle 554 mila unità, tra le quali sono compresi sia individui di sesso maschile che individui di sesso femminile. In generale, quindi, il tasso di disoccupazione nel nostro Paese diventa pari all’11,7% con un incremento dello 0,4% rispetto al mese di dicembre e del 2,1% rispetto all’anno precedente.

> > Record di licenziamenti per il 2012

Per quanto riguarda invece i dati relativi all’occupazione, l’Istat  rileva che nel mese di gennaio 2013 gli occupati italiani erano 22 milioni e 688 mila con un calo dell’occupazione pari allo 0,4% rispetto al mese di dicembre che corrisponde a 97 mila unità in meno. Su base annuale questo dato si traduce invece in un calo dell’1,3% pari alle 310 mila unità.

Il tasso di occupazione del nostro Paese è dunque pari al 56,3% con cali dello 0,3% rispetto al mese precedente e dello 0,7% rispetto all’anno precedente.

Record di licenziamenti per il 2012

 Sono i dati del Ministero del Lavoro pubblicati in questi giorni a segnalare l’ennesimo record negativo per il mercato del lavoro italiano. Un nuovo dato negativo che getta ulteriori ombre su una situazione che già è prossima al collasso.
► 9 milioni di disoccupati nel 2012, per la CGIL si tratta di un anno nero

Nel 2012 il Ministero del lavoro ha registrato l’attivazione di 7,9 milioni di contratti di lavoro a fronte di 7 milioni di cessazione degli stessi (numero che comprende le cassazioni richieste dai lavoratori, quelle promosse dal datore di lavoro per cessazione di attività o altro e le cessazioni dovute allo scadere di contratti a termine): il numero dei licenziati totale ammonta a 640.000 con un aumento dell’11% rispetto al 2011.

Il terzo trimestre del 2012 è il periodo che ha fatto registrare il picco maggiore di cessazioni di rapporti di lavoro: un totale di 225.868 per un aumento dell’8,7% rispetto allo stesso periodo del 2011.

► In Grecia è sempre crisi con 1000 disoccupati in più al giorno

Ed è sempre nel terzo trimestre che è stato evidenziato un aumento dei contratti di lavoro non stabili. I contratti attivati sono stati  2.462.314, dei quali solo il 17,5% è stato a tempo indeterminato, con una diminuzione del 5,7% rispetto allo stesso periodo del 2011, per il resto si tratta di contratti a termine (67,1%, per un totale di 1.652.765), di contratti di apprendistato (61.868) e di contratti di collaborazione (156.845).