Record di occupati in Germania

 L’Ufficio federale di statistica tedesco ha reso pubblici i dati sull’occupazione tedesca per il 2012: il numero medio di occupati in Germania è di 41,5 milioni di unità, con un aumento di 416 mila unità rispetto all’anno precedente. Numeri che si trasformano facilmente in percentuali: il tasso di disoccupazione della Germania per il 2012 si è assestato al 5,3%, segnando un -0,2% rispetto al 2011.

La Germania è l’unico paese in questa fetta di Europa che è riuscito a segnare un punto positivo nella lotta contro la disoccupazione che sta flagellando altri paesi come la Grecia, la Spagna e, anche se in misura, per ora, minore, l’Italia.

La Germania si conferma essere ancora la prima economia europea, quella che la crisi l’ha solo sfiorata, e che, a dispetto di tutte le altre, continua a crescere. Questo è il sesto anno consecutivo che la Germania fa registrare dati occupazionali positivi: le statistiche sottolineano come dal 2005 la popolazione attiva è aumentata del 6,8% (2,66 milioni di persone) e quella inattiva è la metà di quella del 2005 (2,34 milioni nel 2012).

Le elezioni tedesche sono sempre più vicine e per la Cancelliera questo è un ottimo risultato che la porta molto vicino ad una rielezione, soprattutto se i dati sull’occupazione si mettono in confronto con gli altri indicatori: l’inflazione nel 2012 è cresciuta del 2,1% rispetto al 2011, con un aumento dei prezzi su base mensile di solo l’1%.

Disoccupazione in aumento al Sud nel 2013

Unioncamere e Prometeia avvertono: nel 2013 poco cambierà per quanto riguarda il mercato del lavoro. Tutto è riportato nel documento Scenari di sviluppo delle economie locali italiane, realizzato dai due Enti, i cui dati parlano di un panorama difficile. I dati più preoccupanti, tanto per cambiare, riguardano il Sud Italia, fanalino di coda dal punto di vista occupazionale. Il tasso di disoccupazione del Mezzogiorno dovrebbe consolidarsi intorno all’asticella del 17,9%.

In altri termini la disoccupazione al Sud aumenterà vertiginosamente di 6,5 punti in percentuale rispetto al resto della media italiana. La media nazionale, infatti, si attesterà intorno all’11,4%.

Nel frattempo, mentre Unioncamere e Prometeia fanno la conta dei danni (presenti e futuri) in Germania è record per quanto riguarda l’occupazione. Da noi, soprattutto al Meridione, è record al contrario.

Classifica regioni con tasso più alto di disoccupazione

Soffermiamoci, dunque, sulle regioni più sofferenti dal punto di vista della mancanza di lavoro.

– Calabria: 20%, è la regione con il più alto tasso di disoccupati;

– Sicilia: 19,6%;

– Campania: 19,3%;

– Sardegna: 17%;

– Puglia: 16,1%;

– Basilicata: 15,6%;

La regione con il più basso tasso di disoccupazione in Italia è, invece, il Trentino Alto Adige, il cui livello di non-lavoro si fermerà per il 2013 al 5,8%. Seguono Veneto e Valle d’Aosta.

155.000 dipendenti pubblici in meno negli ultimi 3 anni

La crisi dell’economia italiana, inevitabilmente, diventa crisi della Pubblica Amministrazione. Si tratta di uno degli argomenti predominanti degli ultimi tempi.

Il taglio netto sulla spesa passa come sempre in primo luogo per quella pubblica. Così, negli ultimi tre anni, il calo dei dipendenti pubblici è stato a dir poco spaventoso.

Un trend negativo, quello della diminuzione dei posti di lavoro nelle P.A.

Un trend che si perpetua da ormai 3 anni di fila.

Per entrare meglio nel vivo di questa profonda ferita, occorre analizzare le cifre.

Partiamo dal 2011. I dipendenti della Pubblica Amministrazione erano 3.282.999 lo scorso anno. In altri termini sono quasi 154.000 in meno rispetto quanti erano nel 2008. Quattro anni fa lavoravano nelle P.A., infatti, ben 3.436.814 dipendenti.

I dati in nostro possesso sono forniti dalla Ragioneria Dello Stato.

Regione per regione, ecco quelle in cui ancora non si è verificato un calo dell’occupazione pubblica.

Lombardia: per via di 12,51%, la Lombardia si configura come la regione in cui si trova il maggior numero di dipendenti pubblici;

Lazio: segue a ruota la Lombardia con il 12,35%;

Campania: terza classificata con il 9,14%;

Sicilia: quarta classificata con l’8,88%;

Veneto: quinta classificata con il 6,95%;

Piemonte: ultima classificata con il 6,78%;

Edilizia, persi 500.000 posti di lavoro in 4 anni

Non c’è pace per il settore dell‘edilizia. Da più parti sentiamo dire che si tratta di uno di quei comparti destinati a trainare l’economia italiana, sempre più soggetta ad una crisi di natura morale e occupazionale.

Il mercato immobiliare, però, stenta a decollare e, anzi, finisce sempre più in un baratro dal quale non si vede neanche un minimo spiraglio di luce.

La Cgil ha ben fotografato la situazione in corso, in un quadro che si protrae da ben quattro anni.

Il verdetto, sempre più definitivo e sempre meno provvisorio, è il seguente: il settore dell’edilizia italiana appare stremato, al capolinea e senza possibilità di sbocchi positivi per le costruzioni in virtù di una mancanza sempre più significativa della domanda.

Non c’è da girarci intorno più di tanto, giacché la causa principale della forte inversione di tendenza che si verifica da quattro anni a questa parte per un settore che fino al 2008 era lanciatissimo, è sempre la stessa. Parliamo, naturalmente, della crisi economica. Una fase di collasso che implica da ormai qualche tempo a danni di ordine strutturale e congiunturale.

Così, il settore costruzioni, si avvia inesorabile a concludere anche il 2012 in peggioramento, e senza grossi lasciare spiragli per il prossimo anno.

Chiaro e conciso l’attacco di Schiavella della Cgil alle istituzioni. “La situazione è preoccupante – afferma uno dei massimi esponenti del sindacato – e il governo continua a non azzeccarne una per rilanciare il settore”.

L’edilizia perde colpi su colpi, in particolar modo nelle regioni del Sud. Oltre a ciò, va fatta la conta dei danni anche per quanto riguarda il marcato apporto del comparto all’occupazione. Il record del crollo dei posti di lavori si registra in Sardegna nella provincia di Sassari, dove si è giunti ad un pesante passivo (-47%).

Conferma il triste dato, allargandolo a tutta la Penisola, la Cgia di Mestre, secondo la quale nell’anno che volge al termine sono rimaste senza lavoro più 600mila persone.

Fuga di cervelli triplicata in dieci anni

 Il rapporto Istat “Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente” ha messo in luce una situazione tragica per i giovani laureati italiani. Negli ultimi dieci anni (dal 2001 al 2011) il numero dei ragazzi che hanno scelto di andarsene dalla propria patria per cercare lavoro all’estero oscilla tra le 29 e le 39 mila unità.

Le mete verso cui si rivolgono i giovani con un titolo di studio universitario e con più di 25 anni sono principalmente Germania, Svizzera, Regno Unito e Francia, dove emigra circa il 44% del totale; fuori dall’Europa le mete più ambite sono il Brasile e gli Stati Uniti. Ma le percentuali cambiano se si prendono in considerazione solo gli emigrati con laurea, le cui principali mete di destinazione sono la Gran Bretagna (11,9%), Svizzera (11,8%), Germania (11%) e Francia (9,5%).

L’indagine dell’Istat non mette solo in evidenza l’aumentato numero dei cervelli in fuga, ma chiarisce anche come stanno cambiando le dinamiche dell’emigrazione: il numero dei laureati che hanno lasciato il paese è passato dall’11,9% del 2002 al 27,6% del 2011, mentre la percentuale degli emigrati che hanno titolo di studio fino alla licenza media è diminuito dal 51% al 37,9%.

Alla fine del decennio di preso in considerazione il saldo migratorio è negativo per tutte le categorie di emigrati: -5.200 individui con titolo di studio fino alla licenza media, -6.300 quelli con diploma e -10.600 laureati.

Particolarità delle imprese famigliari

 Le imprese famigliari sono un particolare tipo di imprese per le quali esistono delle leggi speciali. Un imprenditore che tra i collaboratori abbia soltanto o per la maggior parte famigliari, è sicuramente diverso al titolare di un’azienda standard.

L’impresa famigliare è quella in cui i collaboratori scelti dal titolare sono famigliari veri, nel senso che vale l’esistenza della famiglia mentre non è considerata rilevante la convivenza di fatto.

Il fisco invita tutti coloro che vogliono costituire un’impresa famigliare a valutare i tempi per farlo visto che l’efficacia temporale di alcune scelte può essere diluita nel tempo, anche se si parla di effetti tributari. Proviamo a fare un esempio.

Ci sono le imprese famigliari che non sono ancora state attivate e quelle che esistono già ma sono composte soltanto dal titolare.

Nel primo caso l’enunciazione dell’impresa famigliare ha effetto immediato, il che vuol dire che se la stipula avviene nel 2012, il reddito del 2012 è già diviso tra titolare e collaboratori. Se invece si tratta del secondo tipo d’impresa, l’ingresso nella stessa di un famigliare, è sottoposto a regole diverse.

In pratica, l’ingresso di un famigliare nell’impresa durante il 2012, ha un effetto sull’attribuzione del reddito soltanto dal 2013 in poi, quindi avrà un effetto tributario soltanto con l’UNICO 2012.

L’Agenda Monti

Ieri mattina il premier Mario Monti, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, ha fatto un piccolo accenno alle linee guida della sua Agenda per il rilancio dell’economia italiana, sorprendendo tutti con la sua apertura verso la patrimoniale. Un accenno al quale ha fatto seguito la sua Agenda composta da 25 cartelle in cui il premier dimissionario propone delle novità che sicuramente faranno discutere.

Oltre alla patrimoniale, che dovrà essere applicata sui grandi patrimoni e sui consumi per non provocare ulteriori problemi alle categorie già deboli, Monti ha chiesto, all’esecutivo che verrà dopo di lui, di riformare quanto prima la legge elettorale e, sopratutto, di tagliare i contributi pubblici alla politica, comprendendo in questo anche il divieto di accumulare indennità e retribuzioni vari per onorevoli e parlamentari.

Tra le altre soluzioni proposte, il rilancio dell’economia italiana deve passare anche per una riforma ampia e profonda del mercato del lavoro, a cominciare dalla detassazione del lavoro femminile e una semplificazione della burocrazia per poter attirare gli investimenti esteri.

Infine, l’Agenda Monti punta ancora alla lotta all’evasione fiscale, sulla riforma delle pensioni e su un nuovo sistema do ammortizzatori sociali. Ultimo punto, forse il più discusso, quello dell’Imu, una tassa sicuramente indigesta ma che, come avverte il premier, non può essere evitata.

 

 

Aumenta il numero dei giovani che rimangono a vivere in famiglia

 Secondo i dati del Rapporto sulla coesione sociale redatto dall’Istat, dall’Inps e dal Ministero del Lavoro, nel 2011 i giovani che hanno un’età compresa tra i 18 e i 34 costretti a vivere con i genitori sono aumentati di circa 118 mila unità rispetto all’anno precedente. Il totale dei ragazzi che non può permettersi di vivere per proprio conto è quindi salito da 6 milioni 815 mila (58,6% della popolazione di riferimento) a 6 milioni 933 mila.

Si tratta del 60% della popolazione italiana celibe o nubile. Un dato che mette in evidenza il peggioramento delle condizioni lavorative per i giovani, dato che la percentuale delle persone in questa condizione era andata calando rispetto ai decenni precedenti.

Secondo Inps, Istat e Ministero del lavoro, la responsabilità della situazione è da attribuire, in primo luogo, alla crisi economica che ha fatto impennare il tasso di disoccupazione giovanile e, al tempo stesso, diminuire il potere di acquisto delle famiglie che non possono più permettersi di comprare delle case, tutti fattori che impediscono, di fatto, ai giovani di mettere da parte le risorse necessarie per pagare un affitto o per accendere e poi pagare un mutuo.

Il fenomeno dei giovani a casa con i genitori è maggiormente concentrato nelle regioni del centro sud della penisola, mentre per quanto riguarda la distribuzione in base al genere, si nota come sia maggiore, anche se di poco, il numero dei maschi che rimangono a vivere con i genitori: 3 milioni 858 mila sono uomini, contro di 3 milioni 75 mila donne.

 

Freelancer sbarca in Italia

 Il giro è stato lungo, ma alla fine anche in Italia si potrà usare Freelancer. Si tratta di un grande passo avanti per i lavoratori autonomi e per le imprese che cercano freelance sicuri e affidabile e, soprattutto, economici.

Freelancer è nata nel 2004 in Australia con il portale GetAFreelancer.com. Nel tempo, con l’aggregazione di altre realtà simili, il portale si è esteso a livello internazionale e, lo scorso anno, questa idea innovativa ha ricevuto il premio Ernst & Young Technology Entrepreneur of the Year.

Sono 240 i paesi in cui opera Freelancer e, grazie alla possibilità di far incontrare domanda e offerta di lavoro in rete, quindi senza limiti di tempo e di spazio, le aziende partecipanti hanno potuto esternalizzare 2,7 milioni di progetti, per un totale di 650 milioni di dollari.

Il funzionamento di Freelancer è molto semplice e ricalca quello della piattaforma Ebay: le aziende iscritte possono pubblicare il bando per il progetto necessario con relativo budget disponibile e i professionisti interessati fanno le loro proposte. Le azienda, una volta scaduto il bando, decideranno a chi affidare il progetto  pagando solo al raggiungimento degli obiettivi previsti.

Prevalentemente si tratta di progetti legati al mondo dell’informatica, ma si può trovare davvero un po’ di tutto. In poco tempo, infatti, Freelacer Italia ha raggiunto quota 4 mila aziende italiane iscritte che si aggiungono alle 21 mila già presenti.

Rinnovo dei contratti di lavoro, i tempi di attesa secondo l’Istat

 Secondo l’Istat i dipendenti in attesa di rinnovo del contratto del lavoro sono circa 3,7 milioni, di cui 3 milioni solo nel settore delle pubbliche amministrazioni. I contratti collettivi in scadenza sono 33.

Grazie all’entrata in vigore dei nuovi contratti per alcune categorie di lavoratori (alimentari, olearie e margarinera, carta cartone e cartotecnica) la percentuale dei dipendenti in attesa è calata di qualche punto percentuale rispetto al mese precedente, che si attesta, quindi, al 28,5% dei lavoratori totali.

Secondo l’Istat, nel mese di novembre l’attesa per un lavoratore con contratto in scadenza è di 35,6% mesi, molto di più di quanto segnalato lo scorso anno nello stesso periodo. Anche la media di attesa sul totale dei lavoratori è più alta rispetto allo scorso anno: 10,1 mesi per il novembre del 2012, contro i 7,5 del novembre del 2011.

Le previsioni dell’Istituto di Statistica confermano che per questo mese la situazione dei contratti in scadenza rimarrà invariata, per diminuire, poi, a partire dal gennaio del prossimo anno (39,1%) con un picco nel periodo compreso tra aprile e maggio.

A differenza del comparto pubblico, nel privato la situazione è migliore. La quota dei dipendenti in attesa di rinnovo si ridurrà dal 92,7% di dicembre 2012 al 38,5% di maggio 2013. Anche i mesi di attesa sono di meno: considerando il totale dei dipendenti privati il tempo di attesa per il rinnovo del contratto è di 2,6 mesi.