Continua ad essere sempre più tortuosa la strada di coloro che hanno contratti atipici. Molto probabilmente sono, infatti, a rischio le assunzioni dei precari nella pubblica amministrazione a causa dell’attesa del responso che dovrà arrivare dalle Sezioni Unite della Cassazione, che sono state chiamate ad esprimersi sul decreto 101 che è stato approvato nello scorso mese di ottobre.
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Per gli insegnanti precari niente stipendio prima di Natale
PA – 150 mila precari a rischio di rinnovo entro fine anno
Sono circa 150 mila i lavoratori precari della Pubblica Amministrazione che rischiano di rimanere a casa entro la fine del 2013. Pur occupandosi di servizi essenziali per i cittadini, infatti, questi a questi lavoratori non hanno forme di contratto in grado di assicurare loro la permanenza all’ interno dell’ organico.
Ecco come vengono trattati i ‘cinesi’ nelle fabbriche di Pomigliano
Li chiamano ‘cinesi’. Non dispongono di un contratto, vengono pagati pochissimo e lavorano in condizioni non dignitose. Al loro fianco c’è la Fiom, che si batte per i precari senza diritti. In verità, più che cinesi, sono cittadini dell’Est. Ma il concetto rende comunque.
Per essere assoldati le società non devono sforzarsi più di tanto. Li ingaggiano tramite le agenzie interinali e li utilizzano come ‘tappa-buchi’ nell’organico, senza mai assumerli. Non parlano molto bene l’italiano e questo per i loro ‘padroni’ è un ottimo viatico. Spesso sono sposati, con figli a carico o con una famiglia che li aspetta nel loro paese di provenienza alla quale mandano i soldi per il fabbisogno quotidiano. In altri termini, sono tenuti per il collo.
‘Acquistarli‘, dunque, è un affare. Costano poco, lavorano tanto e non sono iscritti ai sindacati. Sono dei veri e propri ‘disperati’. A Pomigliano sono più di cento. Tra questi ci sono trenta giovani rumeni, che le aziende si contendono data la loro disponibilità fuori dal comene a sottoporsi ai lavori più faticosi.
Ma Il loro destino è segnato. Vengono assorbiti in fabbrica per qualche mese, ma spesso finiscono per rimanerci. I padroni se li contendono: per loro, i cinesi-rumeni disperati e stakanovisti costituiscono tombola e terno al lotto.
Fiom contro lo sfruttamento dei precari senza diritti
Vengono soprannominati “cinesi“. Nelle fabbriche sono coloro i quali sono sprovvisti di contratto di lavoro. Percepiscono un misero salario e lavorano senza diritti né tutele. Lavorano tanto, e il più delle volte non hanno neanche diritto di replica.
Forse, chiamarli ‘precari’ è riduttivo. Certo è che nelle ditte di sub-appalto di Pomigliano d’Arco sono più di cento. Il loro è un utilizzo improprio. Il Sindacato Fiomo, così, ha deciso di denunciare questo fenomeno schierandosi dalla parte di chi non ha un contratto e ha mansioni identiche a chi non lo ha, ma con salari diversissimi.
Un esempio? Alenia, fabbrica di aeroplani. Qui, italiani e “cinesi” lavorano fianco malgrado le loro siano buste paga molto differenti.
Lo stipendio dei contrattualizzati è ben diverso da quello dei non contrattualizzati.
Un lavoratore precario del subappalto non supera gli 800 euro mensili. Inoltre può essere licenziato senza alcun preavviso, dall’oggi al domani.
Franco Bruno, Sindacalista Fiom del napoletano, ha dunque avviato gli scontri affermando che “Si tratta di uomini esasperati messi ogni giorno a tu per tu con l’ingiustizia”.
Pomigliano è vittima della crisi. Una crisi che cresce. I primi a farne le spese, forse, sono proprio questi cittadini di nazionalità bulgara, ucraina, africana e rumena. Sono ingaggiati dalle agenzie interinali e smistati tra le fabbriche che ne fanno richiesta. Qui diventano cinesi.
In Italia 3,3 milioni di precari
3.315.580. Questo è il numero esatto dei precari italiani: in media guadagnano 836 euro netti al mese. 927 euro mensili per i maschi e 759 euro per le donne. La maggior parte di costoro lavora nel meridione.
Il 15% è laureato e la pubblica amministrazione è il principale datore di lavoro.
Cifre che si evincono dal ‘Rapporto sui diritti globali 2013‘, che fornisce una panoramica approfondita dei giovani precari in Italia. Per quanto concerne il titolo di studio, i dati evidenziano che il 46% ha un diploma di scuola media superiore, il 39% circa ha concluso il percorso scolastico con il conseguimento della licenza media e solo il 15,1% e in possesso di una laurea. La più alta concentrazione di lavoratori precari italiani è, appunto, nel pubblico impiego. Infatti, nella scuola e nella sanità ne troviamo 514.814, nei servizi pubblici e in quelli sociali 477.299. Se includiamo anche i 119.000 circa che sono occupati direttamente nella pubblica amministrazione (Stato, Regioni, enti locali, ecc.), il 34% del totale dei precari italiani risulta alle dipendenze del pubblico (praticamente uno su tre). Gli altri settori che mettono in evidenza una presenza massiccia di precari sono il commercio (436.842), i servizi alle imprese (414.672) e gli alberghi e i ristoranti (337.379).
Il rapporto è stato rilasciato da Ediesse e a cura di Associazione Società Informazione Onlus, promosso da Cgil, di concerto con ActionAid, Antigone, Arci, Cnca, Comisiones Obreras Catalogna, Fondazione Basso-Sezione Internazionale, Forum Ambientalista, Gruppo Abele, Legambiente, Sbilanciamoci!. Secondo il lavoro di ricerca, è il Sud l’area geografica che conta il numero maggiore di precari. Se oltre 1.108.000 precari lavorano nel Mezzogiorno (pari al 35,18% del totale), le realtà piu coinvolte, prendendo come riferimento l’incidenza percentuale di questi lavoratori sul totale degli occupati a livello regionale, sono la Calabria (21,2%), la Sardegna (20,4%), la Sicilia (19,9%) e la Puglia (19,8%)
Le richieste dei giovani italiani per gli stage e i tirocini
Il problema dei giovani italiani è uno: la disoccupazione. Un male endemico che colpisce la fascia di età più produttiva e che li porta ad essere scoraggiati nei confronti del futuro e a cercare soluzioni alternative, prima di tutte l’espatrio verso mete maggiormente promettenti.
Oltre alla disoccupazione, poi, i giovani sono costretti a fare i conti con il precariato, con aziende che assumono con contratti a termine o che propongono stage e tirocini con condizioni davvero umilianti, con stipendi bassissimi e senza nessun diritto e garanzia.
I giovani non ci stanno più, almeno quelli della CGIL, che hanno preparato una giornata di mobilitazione per il 29 maggio, poco prima che le Regioni saranno chiamate a rivedere la regolamentazione di stage e tirocini.
Cosa chiedono i giovani per migliorare l’attuale situazione degli stage?
Queste proposte della Confederazione Generale Italiana del Lavoro:
1. Lo stage deve essere un percorso di formazione individuale e una opportunità di inserimento, che deve essere agevolata dallo Stato con opportuni incentivi per chi assume stagisti e tirocinanti.
2. Gli stage e i tirocini devono garantire una retribuzione di almeno 400 euro al mese.
3. Si può essere assunti come stagisti non oltre il 12 mese dal conseguimento del titolo di studio.
4. Lo stage deve avere una durata massima di sei mesi.
5. Le mansioni date a stagisti e tirocinanti devono avere un reale valore formativo.
6. Le aziende che assumono stagisti devono avere una giusta proporzione di personale a tempo indeterminato e tirocinanti e non presentare situazioni occupazionali difficili (licenziamenti collettivi, cassa integrazione ecc.)
7. Alle aziende che non pagano o che non rispettano i termini del contratto di stage devono essere passibili di multa.
Gli stipendi dei precari sono più bassi del 25%
L’ Istituto nazionale di Statistica – Istat – fa i conti in tasca al lavoro precario. E scopre quello che, vivendolo tutti i giorni sulla propria pelle, molti lavoratori atipici sanno ormai molto bene: le retribuzioni medie dei lavoratori precari sono in genere più basse di un buon 25% rispetto a quelle dei dipendenti regolari.
> Ad aprile le retribuzioni sono cresciute più dell’inflazione
Il mercato del lavoro italiano, dunque, a conti fatti, gioca a ribasso. Gli analisti dell’ Istat hanno infatti calcolato, nel loro Rapporto annuale 2012, che in Italia lo stipendio medio di un dipendente a tempo determinato si ferma in genere sui 1070 euro, ovvero 355 euro più giù rispetto a quello di un dipendente “standard”, a tempo indeterminato.
> Per gli statali 3000 euro in meno in tre anni
Parlando di lavoratori atipici, dunque, il rapporto dell’ Istat stigmatizza la situazione dei numerosi lavoratori con contratto a termine e contratti di collaborazione che vi sono oggi in Italia. Ma anche guardando ai soli lavoratori full time le differenze rimangono le stesse.
L’ Istituto ha quindi spiegato che il divario tra le retribuzioni è in genere dovuto ad una serie di fattori, come l’ età, il settore di attività, la professione, etc. Ma tra questi quelli che incidono maggiormente sono gli scatti di anzianità, che nei contratti a tempo determinato non vengono applicati. La differenza tende così a crescere con l’ anzianità.