Chi pagherà i debiti delle imprese?

 Salvate le pubbliche amministrazioni, si è deciso di salvare anche le imprese ed è stato dunque varato un decreto ad hoc, si chiama Decreto Salva Imprese ed è il numero 35 del 2013. In pratica si tratta dello stesso decreto usato per sbloccare i 40 miliardi delle PA nei prossimi 12 mesi.

Si tratta di un decreto voluto dall’esecutivo montiamo che firmando il documento in questione ha praticamente fatto l’ultimo atto prima del passaggio di consegne. Non sono mancate delle critiche visto che i 40 miliardi “devoluti” alle pubbliche amministrazioni sono soltanto una piccola parte del debito complessivo che ammonta a 91 miliardi di euro, secondo i dati fornti dalla Banca d’Italia.

Quinquennio difficile per il debito tricolore

La domanda che molti analisti si fanno adesso è se i debiti delle imprese saranno pagati dai contribuenti. Un’ulteriore pressione sulle tasche dei cittadini potrebbe deprimere i consumi e affossare una volta per tutte l’economia tricolore.

Cipro chiede più aiuti ma che pensa l’Europa?

A cosa bisogna fare attenzione? Sicuramente all’IMU e all’IRPEF di cui si parla sempre nello stesso decreto. E’ tramite queste imposte che dovranno essere sostenute le imprese. Mentre l’aumento della TARES scatterà soltanto a dicembre, c’è ancora tempo ma non se ne parla, per gli aumenti dell’imposta municipale e dell’imposta sui redditi delle persone fisiche.

Come finanziare un’impresa

 Ogni azienda, al fine di poter svolgere la propria attività, ha bisogno di disponibilità di natura finanziaria. La difficoltà predominante che sorge è una: essa si basa nell’individuazione di quelle forme di finanziamento che risultino più adeguate, dal momento che ci si può trovare dinanzi ad un ampio ventaglio di possibilità di scelta. Occorre precisare che queste modalità di finanziamento sono totalmente vincolate, oltretutto, dalle dimensioni e dalla veste giuridica dell’impresa in questione. Tuttavia, volendo affrontare la questione in maniera più generica, è possibile rintracciare due tipi differenti di finanziamenti. Queste due modalità sono:

il capitale proprio;

il capitale di terzi.

Nell’analisi di queste due modalità di finanziamento, non sfuggiranno alcuni parametri relativi alla forma del prestito scelto. Da questi parametri scelti all’inizio dipenderanno le modalità di restituzione del capitale ricevuto inizialmente. Si tratta di elementi, economici e logistici, che caratterizzano il lavoro di un’impresa.

Modalità di finanziamento

A tal proposito, appare necessario analizzare nei dettagli, in cosa consistono queste modalità di finanziamento e come si finanzia un’impresa:

Capitale proprio

Il capitale proprio è rappresentato dai conferimenti perfezionati dall’imprenditore individuale o dai soci della società, al momento della costituzione dell’azienda e, successivamente, attraverso eventuali aumenti di capitale, nonché dagli utili generati dalla gestione aziendale. Il capitale proprio è conferito a tempo indeterminato. Gli aumenti di capitale sono nominati anche capitale di apporto, e si manifestano quando l’imprenditore o i soci prendono la decisione di dare luogo a nuovi investimenti e dunque, stabiliscono di effettuare un nuovo incremento di mezzi di natura finanziaria. Gli utili generati dalla gestione aziendale, da par loro, dal momento che non sono prelevati dall’imprenditore o dai soci e rimangono all’interno dell’impresa, sono ribattezzati con il nome di capitale di risparmio.

Capitale di terzi

Può succedere sovente che il capitale proprio non è adeguato al finanziamento dell’intera attività di un’azienda. Per questa ragione è possibile fare un adeguato ricorso al capitale di terzi, ovvero a finanziamenti effettuati da terze parti. I ‘terzi’ diventano, dunque, creditori dell’impresa, a tempo determinato, dal momento che l’azienda deve restituire il denaro attenendosi alle scadenze concordate e in differenti modalità. Qualora la scadenza non superi i 12 mesi è possibile parlare di prestiti a breve termine; nel caso in cui la durata vada da uno a cinque anni è possibile parlare di prestiti a medio termine; nel caso in cui la durata sia superiore ai 5 anni parleremmo invece di prestiti a lungo termine. Il capitale di terzi contempla debiti di finanziamento, stipulati dall’impresa al fine di ottenere una somma di denaro, e debiti di funzionamento, rappresentati dalle dilazioni di pagamento nei confronti di fornitori di beni o servizi.

Scandagliando tra i finanziamenti di terzi noteremo che quello più diffuso rimane, per diverse imprese, il prestito bancario, quale ad esempio il mutuo. Il mutuo consiste nel ricevere una somma di denaro, da restituire in tempi stabiliti dalle parti.

Prestiti e interessi

Una volta arrivati alla scadenza, decorso dunque il periodo di tempo in questione, l’impresa dovrà provvedere alla restituzione della somma di denaro, versando un interesse come compenso. In questi casi, le grandi aziende fanno riferimento anche all’uso di prestiti obbligazionari.

I prestiti obbligazionari sono molto simili ai prestiti bancari. Tuttavia, nel caso dei prestiti obbligazionari, il prestito viene concesso da persone fisiche, enti o altre società.

In questo contesto, l’azienda deve versare interessi periodici e, una volta decorso il prestito, deve restituire il capitale ricevuto inizialmente.

I debiti di funzionamento, al contrario, non si configurano come un vero e proprio spostamento di denaro. Molto più semplicemente, i debiti di funzionamento si configurano come un credito dal fornitore, il quale consente all’impresa una dilazione del pagamento priva di interessi.

Record di aziende chiuse nel primo trimestre del 2013

 La definizione di anno peggiore dall’inizio della crisi sembra non calzare più al 2012: stando ai nuovi dati sulle aziende italiane questa definizione è molto più indicata per l’anno in corso, anche se sono passati poco più di tre mesi dal suo inizio.

► Le previsioni di Intesa Sanpaolo sulle imprese

I dati di cui parliamo sono quelli del Cerved, gruppo specializzato nell’analisi delle imprese e nella valutazione del rischio di credito, che ha analizzato le istanze di fallimento registrate presso le Camere di commercio: dal primo gennaio all’8 di aprile in Italia sono state chiuse ben 4.218 imprese, il 13% in più rispetto allo stesso periodo del 2012.

Un dato preoccupante già di per sé ma che rende conto di una situazione particolarmente drammatica se i dati sono confrontati con quelli relativi al 2012: durante lo scorso anno hanno chiuso i battenti 12.442 aziende, più di mille al mese, circa 34 al giorno.

Su base annua il 2012 ha rilevato un aumento del 2,3% di fallimenti sul 2011 e il 32% in più rispetto al 2009, l’anno di inizio della crisi.

Continuando a confrontare i dati emerge che le 34 istanze di fallimento al giorno del 2012 sono diventate 43 nei primi tre mesi del 2013. Un aumento cospicuo che tocca tutti i settori: industria, costruzioni, servizi, nessuno escluso.

► Pubblicato in GU il decreto che sblocca il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni

Secondo Gianandrea De Bernardis, amministratore delegato di Cerved Group

Le rilevazioni continuano a consegnare un quadro di crisi che non accenna a cambiare. Quel che è peggio è che sulle istanze di fallimento la crisi avrà un’onda lunga, con effetti che si sentiranno con ogni probabilità anche quando arriverà la tanto agognata ripresa. C’è da aspettarsi una situazione in peggioramento perché ci sono indicatori più tempestivi delle istanze di fallimento, che possono anche esser avviate settimane prima della registrazione, che continuano a dare segnali negativi.

Se si sbloccassero i pagamenti delle Pa l’Italia inizierebbe la ripresa

 Se molte imprese italiane stanno chiudendo una parte di responsabilità è da attribuire anche a tutti coloro che non pagano per i servizi ricevuti. I debitori maggiori sono le pubbliche amministrazioni: il loro debito nei confronti delle aziende italiane, secondo le ultime stime di Bankitalia, ammonta a circa 71 miliardi di euro.

► La Commissione Europea chiede all’Italia un piano di smaltimento dei debiti delle PA

In questi ultimi giorni il problema è venuto a galla in tutta la sua drammaticità, soprattutto dopo che anche l’Unione Europea ha chiesto all’Italia di mettere all’ordine del giorno la discussione del problema per approntare un piano di estinzione del debito. E sono sempre di più le personalità politiche ed economiche, come anche le associazioni di categoria, a chiedere al governo che il decreto sullo sblocco dei pagamenti delle PA sia varato il prima possibile.

Tra di loro, la voce che si è levata più forte delle altre è stata quella di Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, che, dati alla mano, ha affermato che pagando anche solo due terzi dei debiti che le Pubbliche Amministrazioni hanno accumulato nei confronti delle imprese (circa 48 miliardi) ci sarebbe:

► Quasi pronto il decreto del Tesoro per lo sblocco dei pagamenti delle PA

un aumento di circa 250mila occupati e un incremento del Pil dell’1%, par a 16 miliardi di euro, per i primi tre anni, fino ad arrivare all’1,5% nel 2018.

I dati arrivano dal Centro studi Confindustria che ha fatto una simulazione evidenziando le grandi ricadute positiva che lo sblocco dei pagamenti avrebbero sia sull’occupazione che sugli investimenti.

Le imprese italiane non hanno fiducia nel futuro

 Lo studio sul sentiment per il futuro delle imprese italiane – realizzato da Confcommercio-Imprese per l’Italia in collaborazione con Format Research – mette in evidenza che tra gli imprenditori italiani prevale il pessimismo: nessun uscita dalla crisi, anzi, per una larghissima fetta degli imprenditori il 2013 sarà anche peggiore dell’anno precedente.
► Imprese italiane a corto di liquidità

A pensarla in questo modo sono il 42% degli imprenditori italiani, mentre il 52% sembra essere un po’ meno preoccupato, nel senso che non prevede nessun peggioramento, ma neanche un miglioramento, e solo il 6% crede che quest’anno sarà quello della ripresa.

La stessa situazione di sfiducia verso il futuro è prerogativa anche delle famiglie: secondo lo studio, infatti, solo il 12% degli imprenditori intervistati crede che la situazione economica della propria famiglia potrà migliorare, mentre il 60% ritiene che la situazione sarà la stessa del 2012 e circa il 28% che andrà peggio.

► Consumi italiani ai livelli del 2004

Gli imprenditori intervistati si sono anche espressi sulla lista delle priorità che il governo, sempre che lo si riesca a formare, dovrà affrontare una volta che sarà operativo: al primo posto la necessità della riduzione della pressione fiscale sulle imprese e sul lavoro (per il 90,5% degli imprenditori), poi la riduzione della pressione fiscale sulle famiglie (80,1%) e, al terzo posto, politiche in favore dell’occupazione (72,1%).

Imprese italiane a corto di liquidità

Nei giorni passati Confesercenti ha diffuso dei dati poco entusiasmanti sul panorama delle imprese commerciali italiane, in base ai quali risulta che un po’ in tutta la penisola il numero delle imprese che chiudono è superiore alle nuove che nascono.

>  In Italia chiudono 167 negozi al giorno

L’inizio del 2013 si è dimostrato particolarmente negativo da questo punto di vista e le regioni più colpite dal fenomeno sembrano essere state la Lombardia e il Lazio.

Oggi l’Osservatorio sul credito di Confcommercio fa sapere che il 70% delle imprese italiane si rivolgono alle banche per mancanza di liquidità o per difficoltà di cassa. Ad essere colpite per la prima volta sono anche molte imprese collocate nel Nord-Est d’Italia. Solo il 20% delle imprese italiane, infine, si rivolge ancora alle banche per la realizzazione di investimenti.

Allarme per la chiusura di molte imprese italiane

Ma vediamo quali sono le reazioni delle banche stesse a queste richieste. Il 40% delle imprese che chiedono liquidità si sono viste rifiutare il credito o ne hanno ottenuto meno rispetto all’ammontare iniziale, mentre solo il 30% di queste ultime riesce ad ottenere la cifra di cui aveva fatto richiesta in origine.

Aumenta così il numero delle imprese che non sono riuscite a far fonte al proprio fabbisogno finanziario (20% circa) e il settore più colpito è quello dei servizi.

Le imprese italiane temono di chiudere

 Sono giorni di dati e di analisi, questi. Dopo l’elaborazione dei dati dell’Istat fatta dall’Adnkronos che ha messo in luce come oltre la metà delle famiglie italiane sia in crisi, è arrivato anche il sondaggio fatto da Unimpresa tra le 130 mila aziende associate.
► Confindustria: Italia in piena emergenza creditoQuello che emerge è un quadro drammatico, nel quale 5 aziende su 6 delle intervistate hanno timore di non riuscire ad arrivare alla fine dell’anno. I motivi di questo timore?

In primis, come evidenziato anche da altre ricerche, la stretta del credito da parte delle banche, poi i mancati pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni e dai privati e, in ultimo difficoltà nella gestione dei dipendenti.

Anche le nuove normative italiane in materia dei pagamenti delle pubbliche amministrazioni -massimo di 60 giorni per il saldo delle fatture- non sembrano migliorare la percezione del futuro, in quanto, come asserisce Paolo Longobardi, presidente di Unimpresa, trovano scarsissima applicazione.

► Mancati pagamenti delle imprese italiane a quota 40 miliardi di euro

Le cause macroeconomiche di questa visione negativa del futuro stanno soprattutto in una recessione che, come detto anche dal presidente della BCE Mario Draghi, si sta prolungando più del previsto e dalla quale non si riuscirà ad uscire se non nel 2014. Ma nel 2014, se le cose non cambiano, molte delle imprese italiane potrebbero già non esistere più.

Ancora in discesa i prestiti per le famiglie e le imprese italiane

 La discesa dei prestiti per le famiglie e per le imprese a gennaio del 2013 si è attestata ad un -3,3%, contro il -2,5 che si era registrato a dicembre dello scorso anno. Secondo l’Abi, che riporta i dati sui prestiti nel suo bollettino mensile, questo calo è in linea con il trend delle altre grandezze economiche, ossia Pil e investimenti.

► Se i mutui sono costosi è colpa dello spread

Una diminuzione di questa grandezza non si era mai verificata dall’inizio delle serie storiche (1999), ma non è un fenomeno che stupisce più di tanto dato il difficile periodo che sta attraversando l’Italia, per la quale sono stati previsti ben sei trimestri di sofferenza. Sofferenza che si esplica anche nei dati relativi alla rischiosità dei prestiti.

Le sofferenze nette delle banche, secondo quanto riportato dal Bollettino, si sono attestate a quota 64,3 miliardi alla fine del 2012, le lorde sono arrivate a 125 miliardi. Secondo lo chief economist dell’Abi non è lecito parlare di emergenza, ma dato che i tempi della recessione in Italia si stanno allungando, sono comunque dati che vanno tenuti sotto stretta osservazione, soprattutto per i primi tre mesi del 2013.

► Calano i mutui e salgono i prestiti

Questi dati hanno portato il presidente dell’Abi Gianfranco Torriero a comunicare che l’associazione prevede di rivedere al ribasso le previsioni di crescita del paese, anche sulla scorta degli ultimi dati Inps.

 

Dati inflazione gennaio

 I prezzi hanno frenato la loro folle corsa al rialzo. Secondo i dati Istat l’inflazione non è mai stata così bassa dal gennaio 2011, esattamente, quindi, da due anni. A gennaio 2013 l’inflazione registrata è stata del 2,2% contro il 2,3% registrato a dicembre del 2012.

► La crescita dei salari è la metà dell’inflazione

I prezzi sono saliti dello 0,2% su base mensile, quindi con una inflazione acquisita per il 2013 dello 0,8%. Stesso andamento anche per il carrello della spesa che, secondo quanto rilevato dall’Istat, è aumentato anche a gennaio, ma con un ritmo meno sostenuto che nei periodi precedenti. I dati parlano di un aumento dello 0,4% su base mensile e del 2,7% su base annua, molto meno di quanto registrato a  dicembre 2012 (+3,1%).

A cosa è dovuto questo rallentamento? L’Istat imputa il rallentamento dei pressi alla diminuzione dei prezzi dei beni energetici (+5,3%, dal +9,3% di dicembre). A proposito di energetici, la benzina è salita solo dello 0,1% rispetto a dicembre 2012.

► Inflazione dicembre 2012

Il fatto che però l’aumento, seppur in misura minore, ci sia ancora deriva gli aumenti dei prezzi degli alimentari non lavorati (+1,7% su base mensile, +4,9% su base annua) e dei vegetali freschi (+9,5%). Infatti, i prezzi degli alimenti sono gli unici che no hanno seguito la tendenza al ribasso, aumentando del 3,2% annuo (l’ultimo dato così alto risale al febbraio del 2009).

 

Check online per le partite Iva

 Le partite Iva, il loro grado di attività e la certezza che il proprio interlocutore sia affidabile, sono tutte informazioni che adesso di possono ottenere con pochi click a partire dal sito dell’Agenzia delle Entrate.

Se avete bisogno di un professionista, magari di un artigiano che vi presta “soccorso” documentando la prestazione erogata, potete chiedere aiuto all’Agenzia delle Entrate e controllare online che sia possessore di una partita Iva attiva. Se siete un’impresa e volete conoscere meglio il vostro partner in affari, dovete sempre ricorrere al servizio indicato sul sito dell’Erario.

In pratica l’Agenzia delle Entrate ha reso raggiungibile in modo facile ed immediato lo stato di attività di una partita Iva, i dati identificativi del soggetto titolare. Un servizio cui si accede nella sezione “servizi online” del sito dell’Erario e va ad aggiungersi al servizio di controllo delle partite Iva comunitarie Vies che consentono la verifica del codice fiscale.

Un modo pratico per ridurre le frodi e facilitare le operazioni commerciali. Contribuenti ed imprese possono verificare la correttezza delle partite iva nazionali. Le informazioni ottenute riguardano: lo stato della Partita Iva (sospesa, cessata o attiva), la denominazione oppure il nome e cognome del titolare, la data d’inizio attività e le eventuali date di sospensione e cessazione dell’attività.