In Italia meno disagio sociale

 In Italia il disagio sociale diminuisce leggermente a febbraio dopo i mesi della crisi economica che hanno alzato a livelli preoccupanti gli indicatori collegati. I dati di Confcommercio sul Misery index, cioè l’indicatore del disagio sociale, mostrano un miglioramento. Il disagio sociale scende, ma la situazione sociale risente ancora dell’alto tasso di disoccupazione.

Le rilevazioni di Confcommercio mostrano che l’indice è sceso a febbraio di 0,4 punti a 21,9 punti. Alla base di questo miglioramento c’è il fatto che l’inflazione è scesa dello 0,6% e questo significa che i prezzi dei beni e dei servizi ad alta frequenza di acquisto si sono abbassati. Le persone hanno avuto maggiori possibilità di acquistare i beni essenziali e il disagio sociale è sceso.

 

Il disagio occupazionale in Italia tocca 9 milioni di persone

 

L’inflazione troppo bassa è comunque un problema a livello economico che riguarda tutta l’Europa. La base di previsione della banca centrale europea (Bce) del 2% è ancora distante e il presidente della Bce Mario Draghi ha affermato di essere pronto a sostenere l’economia e a mettere in atto strategie decise per portare l’inflazione a livelli migliori.

Il problema della disoccupazione rimane invece abbastanza pesante. Confcommercio parla di “quadro occupazionale del Paese sempre più critico” I dati sulla disoccupazione estesa mostrano come questa sia cresciuta dell0 0,1% al 17%. Per l’Associazione dei commercianti, i disoccupati in Italia sono 3 milioni 307 mila a febbraio, 8 mila in più rispetto a gennaio e 272 mila in più con riferimento a febbraio 2012. La questione della disoccupazione è assolutamente il problema che concerne il mercato del lavoro e l’aspetto sociale più importante in questo periodo.

La Carta Sociale, come funziona in Italia

 Dal rapporto annuale del Consiglio d’Europa di Strasburgo emerge che l’Italia non è un Paese per poveri, disoccupati, malati, anziani e per i cittadini in difficoltà perché non esistono servizi sociali e assistenziali adeguati.

L’economia sociale in Grecia

 Il proprietario di una piccola azienda familiare che produce detergenti non ha mai avuto pensieri anticapitalisti. Così egli era sospettoso e scettico quando è stato avvicinato da attivisti di sinistra che lottano per eliminare i profittatori del mercato.

Ma, lottando per mantenere la sua attività a galla sotto il peso delle fatture non pagate e delle continue richieste di tangenti, il proprietario Savvas Mavromatis ha deciso di seguire la loro proposta. Ha iniziato a vendere i propri prodotti direttamente ai consumatori per contanti a prezzi fissati attraverso un collettivo senza scopo di lucro, invece che ai negozi e ai commercianti come aveva sempre fatto.

 

Il sostegno all’economia sociale in Europa

 

Quattordici mesi dopo, ha salvato la sua azienda dalla crisi economica. Un movimento contrario agli intermediari nel nord della Grecia si è sviluppato, piccolo e donchisciottesco, ma che sorprendentemente è riuscito nel tentativo di ridefinire i termini del commercio. Un gruppo che non si definisce comunista o capitalista, ma che si propone l’obiettivo di aiutare le persone a sopravvivere. La società ha aderito al Voluntary Action Group per vendere nei mercati più piccoli.

Nella loro ricerca di soluzioni, i greci stanno cercando un nuovo tipo di economia con pochi precedenti in Europa. Il crollo dell’economia greca mette a rischio non solo la sopravvivenza dei greci, ma anche alcuni dei meccanismi fondamentali del capitalismo in una nazione dove l’economia si è ridotta di circa il 25% dal 2008. Il mercato in Grecia è stato vittima della corruzione endemica, della cattiva gestione del bilancio dello Stato e delle richieste prepotenti dei mercati finanziari globali.

Le iniziative sperimentali come quelle del sig. Mavromatis  sono sorte ai margini di molte città in varie parti della Grecia. Anche se non possono offrire una soluzione a lungo termine, e sono troppo piccoli per alterare la forma complessiva dell’economia, rappresentano uno sforzo per affrontare una crisi economica il cui più vicino antecedente può essere all’indomani della seconda guerra mondiale.

Il sostegno all’economia sociale in Europa

 Un manifesto per lo sviluppo dell’impresa sociale in Europa è stato il risultato di un raduno di oltre 2000 voci dall’economia sociale europea per individuare nuove priorità politiche per la Commissione europea e il Parlamento.

 

Il turismo italiano verso l’uscita dalla crisi economica

 

La Dichiarazione di Strasburgo, composta da 10 punti chiave per i governi e gli enti pubblici di tutta Europa, è il risultato di un lavoro di imprenditori sociali. Un grande evento partecipativo sull’imprenditoria sociale è stato recentemente ospitato dal Comitato economico e sociale europeo e la Commissione europea a Strasburgo.

L’evento ha riunito imprenditori sociali, accademici, politici, finanziatori e attivisti sociali per discutere il ruolo crescente dell’impresa sociale. La Dichiarazione di Strasburgo si basa sul Social Business Initiative (SBI), lanciato nel 2011 nel contesto della strategia Ue 2020 e progettato per migliorare il quadro per l’imprenditorialità sociale attraverso la sensibilizzazione tra i responsabili politici delle esigenze degli imprenditori sociali.

Tra le azioni indicate nella dichiarazione ci sono:

  • Un più forte impegno della comunità sociale con l’impresa nella co-creazione di nuove politiche a sostegno dell’impresa sociale;
  • Sostegno alla crescita delle imprese sociali e aiuto allo sviluppo delle capacità. Ad esempio, attraverso quadri giuridici, accesso al credito, imprese start-up e lo sviluppo di supporto, formazione e istruzione e appalti pubblici;
  • Rafforzare la cooperazione tra le imprese sociali attraverso le frontiere e confini, per condividere le conoscenze e le pratiche.
  • Gli attori pubblici e privati devono sviluppare una gamma completa di strumenti finanziari adeguati e gli intermediari che sostengono le imprese sociali per tutto il loro ciclo di vita;
  • Ulteriori ricerche e raccolta di dati statistici nazionali per una migliore comprensione, il riconoscimento e la visibilità del settore, sia tra i politici sia tra il pubblico in generale;
  • Guardate alla crescita e alla creazione di valore da una prospettiva più ampia , includendo indicatori sociali e dimostrando l’impatto sociale positivo quando si segnalano il progresso sociale ed economico.

Per il Censis italiani infelici per realtà sociale e lavorativa

 Il Censis mostra un’Italia sfiduciata e infelice che corre all’estero alla ricerca di serenità e opportunità. Un quadro non proprio piacevole. Il presidente del Censis Giuseppe De Rita e il direttore generale Giuseppe Roma in occasione del 47esimo hanno parlato di italiani “sciapi e infelici” e fatto vedere i dati secondo cui gli italiani che nell’ultimo anno si sono trasferiti in altri Paesi sono aumentati del 28,8%.
Per il Censis l’italiano medio rischia il crollo dopo essersi adattato alla crisi economica degli anni passati. Ha imparato a sopravvivere rimettendo tutto in discussione, dagli stili agli interessi. Ora, però, si mostra l’immagine di una società infelice dove non c’è fermento, ma furbizia, immoralismo, evasione fiscale, disinteresse e poca abitudine al lavoro. L’infelicità emerge anche dalle disuguaglianze sociali in crescita e dalla minore coesione sociale. I ricercatori del Censis hanno elaborato un quadro spietato e per nulla confortante mostrando anche la crescita dello scontento e del rancore nella popolazione italiana data dalla minore equità.
Andare all’estero è spesso una conseguenza di questa situazione economica, lavorativa e sociale. Il Censis mostra come in dieci anni gli italiani che si sono trasferiti all’estero sono più che raddoppiati, dai 50 mila del 2002 ai 106 mila del 2012. L’aumento più alto si è visto in questo ultimo anno.
La questione del lavoro è poi una di quelle principali che rende l’italiano infelice. Il Censis rileva come 3,5 milioni di persone vivono una realtà lavorativa basata sul precariato con contratti a termine, occasionali o collaborazioni. Gli italiani che cercano lavoro ma ancora non lo hanno trovato sono 4,4 milioni.

Come ottenere la pensione sociale

 L’Inps eroga agli ultrasessantacinquenni, la pensione sociale, sostituita dall’assegno sociale. Le condizioni sono che si sia residenti in Italia, indigenti, cioè privi di reddito o con un reddito inferiore a quello della stessa pensione sociale.