Chi paga per l’abolizione dell’Imu?

 Gli italiani proprietari di immobili hanno tirato un sospiro di sollievo con la pubblicazione del Decreto Imu che ha cancellato una parte dell’imposta, che si sarebbe dovuta pagare da qui a breve.

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Ma questa operazione ha avuto un costo, si parla di un minore gettito per il Fisco di circa 2,4 miliardi di euro, che il Governo ha dovuto prendere da altre parti. Quindi, come spesso accade, sono arrivati i famosi tagli che, diversamente dalla cancellazione della rata dell’Imu che interessa solo coloro che hanno un immobile di proprietà (in realtà la rata dell’Imu non è stata abolita per tutti), interessa la totalità della popolazione.

Infatti, per recuperare almeno una parte del minore gettito fiscale ha rimesso mano alle dotazioni di alcune amministrazioni pubbliche  e ministeri: ci saranno meno soldi per la gestione della rete ferroviaria, meno fondi per le persone in disagio lavorativo e anche meno fondi per l’assunzione di nuovi poliziotti.

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I tagli necessari per l’abolizione dell’Imu

Nello specifico il Governo Letta ha effettuato tagli per 985,8 milioni di euro, che si materializzano come una diminuzione dei fondi per i consumi intermedi dei ministeri, per gli investimenti fissi lordi e le autorizzazioni di spesa. 

Sono queste ultime a contribuire in modo sostanziale al tesoretto necessario alla cancellazione della rata dell’Imu, soprattutto per le mancate autorizzazioni che toccheranno il settore dei trasporti, che ha visto tagliare la sua dotazione per la manutenzione e la gestione del sistema ferroviario italiano di 300 milioni di euro.

Duramente colpite dalle sforbiciate anche le forze armate: al Ministero degli Interni sono stati tagliati 50 milioni dei fondi stanziati dalla legge finanziaria del 2012, 55 milioni destinate alle nuove assunzioni per il contrasto e la prevenzione al crimine e altri 20 milioni per le assunzioni di ispettori da impegnare nella lotta all’evasione fiscale.

Tagliare le spese per 60 miliardi: ecco la soluzione per salvare l’Italia

 Uscire dalla crisi. Non si parla d’altro. C’è chi crede che il viatico sia costituito dagli eventuali quattro miliardi spesi per l’Imu sulla prima casa che, una volta restituiti agli italiani, rappresenterebbero una strategia per tornare ai bei tempi.

Con ogni probabilità, però, non basteranno. Rappresentano anzi soltanto lo 0,5% in relazione a un bilancio Statale di 800 miliardi.

Il Pil ha fatto registrare durante lo scorso anno un crollo di 2,4 punti percentuali e le stime Ocse fanno presente un -1,8% per l’anno in corso. A ciò si aggiunga che dal 2007 il crollo della ricchezza italiana si è aggirato in media a 160 miliardi di reddito nazionale in meno.

La domanda interna è caduta in soli dodici mesi del 4%, 3 milioni di disoccupati, le aziende chiudono, la produzione industriale è calata del 25% dall’inizio della crisi e 60 miliardi di credito negato a imprese e famiglie solo nell’ultimo anno, sono una goccia nel mare.

La verità è che al fine di cambiare marcia e lasciare il baratro al quale è destinato il Paese bisognerebbe avere ben altro. Servirebbe un drastico allentamento della pressione fiscale che restituisca soldi a famiglie e imprese. Difficile prevederlo. Solo il taglio dell’enorme cuneo fiscale che grava su imprese e lavoratori, il taglio dei contributi previdenziali del 2,5%, graverebbe allo Stato di ben 16,7 miliardi.

Per avere impatti significativi il taglio dovrebbe collocarsi almeno al 5% e quindi con un costo di 33 miliardi. Una manovra che permetterebbe a un lavoratore di 50 anni con un reddito di 50mila euro lordi di avere 833 euro in più in busta paga e consentirebbe al datore di lavoro di risparmiare 1.600 euro su quel lavoratore.

Ecco dove lo Stato ha tagliato le spese dello Stato

 L’ amministratore delegato della Consip, la Concessionaria Servizi Informativi Pubblici, società che fa capo al ministero dell’Economia e che si occupa degli acquisti per la Pubblica Amministrazione, ha potuto in questi giorni dichiarare, non senza un punta d’ orgoglio, che l’ azienda ha raggiunto tutti gli obiettivi fissati per il 2012.

La Camera taglia spese per 8,5 milioni di euro

La Consip, tra le altre cose, è stata infatti artefice, durante lo scorso anno, di un risparmio complessivo per lo Stato pari a 6,15 miliardi di euro, su un totale di 30 miliardi di spese effettuate. Sedie, scrivanie e fogli di carta sono solo alcuni dei beni sui quali è stato possibile tagliare le spese dello Stato.

In realtà, infatti, le categorie merceologiche sui cui prezzi unitari si è risparmiato sono state in totale 66, utenze e servizi compresi. Una importante voce è stata inoltre costituita dal capitolo della sicurezza sui luoghi, per la quale sono stati stipulati contratti più vantaggiosi con i diretti fornitori delle apparecchiature elettromedicali.

Nessun taglio a scuola, istruzione e ricerca

Ma c’è di più. Le scelte delle Consip si sono orientate anche verso le soluzioni maggiormente ecosostenibili, all’ interno delle quali sono comprese anche le ottimizzazioni dei processi e la dematerializzazione documentale: cosa che ha permesso un risparmio ulteriore di 1,59 miliardi di euro. 

Operazione trasparenza del Governo: dove sono i redditi dei ministri?

 La politica sta tagliando i suoi costi: un dovere nei confronti dei cittadini che sono ancora preda di una crisi che non sembra voler finire e che sta abbattendo consumi e risparmio.

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I politici, che da questa crisi dovrebbero tirarci fuori, hanno dalla loro parte degli stipendi di tutto rispetto per il lavoro che fanno che, per effetto della legge anticorruzione (legge n.190 del 2012), del decreto legge n. 33 di marzo scorso (entrato in vigore il 20 aprile scorso con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale) e di quanto fatto da Mario Monti – i cui ministri avevano l’obbligo di pubblicare online la situazione patrimoniale del proprio Esecutivo – dovrebbero rendere pubblici l’importo dei loro emolumenti.

Se anche non si volesse seguire l’esempio dato dall’ex premier Monti, c’è il Dlgs 33/2013 a imporlo: secondo il decreto, infatti, tutte le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di pubblicare online, in una apposita sezione del loro sito, informazioni sulla situazione economica dell’amministrazione stessa e di chi ricopre degli incarichi al suo interno (compensi di qualsiasi natura connessi all’assunzione della carica, dichiarazioni dei redditi e situazione patrimoniale anche per il coniuge e ai parenti entro il secondo grado).

► Abrogati gli stipendi da ministro

Al momento i siti dei Ministeri tacciono. Nessun ministro, segretario, sottosegretario e via dicendo ha pubblicato nulla a riguardo. C’è da sottolineare, comunque, che il tempo previsto dal decreto per l’aggiornamento è di tre mesi, uno dei quali, però, è già passato.

 

Per gli statali 3000 euro in meno in tre anni

 Tra il 2010  e il 2013 le retribuzioni dei dipendenti statali hanno subito un calo complessivo di circa 3000 euro lordi. Lo rileva, con apprensione, la Cgil, che ricorda come a partire dal 2010 sia stata approvata l’ interruzione degli aumenti salariali per l’ intera categoria e come, entro la fine di quest’ anno, gli stipendi per questi ultimi saranno ridotti di altre 600 euro circa.

Stipendi statali bloccati fino al 2014

La Cgil chiede dunque che vengano al più presto rinnovati i contratti per i lavoratori precari della Pubblica Amministrazione – circa 200 mila contratti tra quelli a termine, gli lsu, gli interinali e le collaborazioni, in scadenza a luglio, in mancanza dei quali molti servizi oggi offerti potrebbero non venire più coperti. Le cifre relative al numero degli addetti del settore, tra l’ altro, non è entusiasmante. In soli 4 anni si sono potuti registrare più di 150 mila dipendenti in meno, che rischiano di diventare 400 mila entro il 2014.

La nuova normativa sulle professioni non organizzate

Stando così le cose, sottolineano dal sindacato, sono almeno due i grandi problemi affrontati dai lavoratori del settore pubblico nel giro di pochi anni: il calo generale del costo del lavoro, che tra il 2010 e il 2014 è stato ridotto di circa 7 miliardi di euro e il gravoso blocco del turn over, che impone un pesante taglio del personale, permettendo di reintegrare solo il 20% dei lavoratori fuoriusciti.

Zanonato punta alla riduzione delle tasse

 Uno dei primi impegni del nuovo Governo, è stato, come abbiamo visto in questi giorni e in queste ultime ore, quello di intervenire sulla questione dei tributi italiani in vista di una loro possibile neutralizzazione.

> Il Governo Letta ridisegna le tasse

Dello stesso parere anche il neo Ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato, che ha rilasciato delle dichiarazioni in merito. Per il Ministro, infatti, l’obiettivo imminente del Governo Letta è quello di ridurre le tasse senza tagliare i servizi o aumentare il debito.

Secondo Zanonato, infatti, ci sarebbe la possibilità di agire su alcune leve per il reperimento delle risorse necessarie all’attuazione di questo obiettivo. Si potrebbe, ad esempio, migliorare la lotta all’ evasione fiscale, incentivare il rendimento dl patrimonio pubblico, ma anche recuperare nuove risorse riducendo le spese.

Governo Letta, ecco il programma del ministro Saccomanni

L’austerità, infatti, – sostiene il Ministro – non può essere una misura da applicare in modo duraturo e permanente. E’ necessario, invece, trovare modalità per la crescita e lo sviluppo, anche ridiscutendo con l’Unione Europea il patto di stabilità per recuperare la spesa per gli investimenti. Numerosi sono, tra l’altro, i Paesi europei orientati verso questa strada.

E’ necessario, infine, attuare una politica economica credibile per tenere basso lo spread.

Vodafone taglierà 700 dipendenti

 In tempi di crisi i tagli al personale non risparmiano nessuno. Nemmeno i grandi colossi della telefonia e della tecnologia, come Vodafone Italia, che ha oggi presentato ai sindacati un piano che prevede il taglio di 700 esuberi strutturali nei prossimi due anni.

Secondo la direzione aziendale il piano trova la sua giustificazione nella necessità di contenere i costi. Con 700 risorse in meno, infatti, Vodafone prevede di risparmiare nel giro di due anni circa 160 milioni di euro. Le procedure di mobilità partiranno da lunedì.

Vodafone è in rosso di 2,5 miliardi

I sindacati dei lavoratori aziendali, tuttavia, si sono detti pronti allo sciopero qualora l’azienda, in questa delicata situazione, decidesse di non aprire trattative con le dovute rappresentanze.

L’intenzione di ridurre il personale, fanno sapere i portavoce dell’azienda, è dettata dalla particolare congiuntura economica negativa che il settore delle telecomunicazioni sta attraversando, e che da due anni a questa parte erode costantemente margini e fatturati. A questa situazione macroeconomica si deve aggiungere il clima di grande competizione e il pesante calo dei prezzi che ne sono scaturiti.

I ricavi di Vodafone in calo nel terzo trimestre

E’ volontà di Vodafone continuare ad investire in Italia per migliorare qualità della rete e dei servizi (si parla di altri 990 milioni), ma ciò deve passare attraverso una necessaria riorganizzazione aziendale che privilegi l’efficienza.

Londra contro legge superbonus

 L’intenzione delle banche del Regno Unito e della City londinese, che rappresenta il cuore pulsante della finanza europea, è quella di fare causa all’UE stessa, nella speranza di non vedere operanti le norme che prevedono un tetto ai bonus dei manager e dei supermanager di Londra.

> Bruxelles pronta a mettere un tetto ai bonus dei manager

Lo rivela il Financial Times, che parla di una consulenza legale che sarebbe stata chiesta dai rappresentanti delle banche del Regno Unito allo studio Shearman & Sterling per invalidare la nuova normativa comunitaria, sulla base del fatto che quest’ultima sarebbe in realtà contraria al trattato che vieta la regolamentazione dei salari negli Stati appartenenti all’Unione Europea.

La normativa europea sulla limitazione delle parti variabili delle remunerazioni, inoltre, secondo gli stessi legali, sarebbe contraria a quanto affermato nelle costituzioni di alcuni stati membri, come Austria, Germania e Polonia.

Sui tetti ai superstipendi parla l’SPD

L’opinione pubblica inglese, tuttavia, non sembra essere dalla parte delle banche né condividere questa loro presa di posizione, ma anzi sembra vedere di buon occhio l’iniziativa comunitaria di imporre un tetto ai bonus dei manager sulla base di limitazioni analoghe che diventeranno presto legge in Svizzera, in seguito al recente referendum, e in Germania.

La legge svizzera contro gli stipendi dei manager

 I cittadini svizzeri hanno dato il loro pieno appoggio, attraverso un referendum che ha ricevuto il 68% di voti positivi, ad una proposta di legge avanzata dal deputato indipendente Thomas Minder, con la quale viene restituita alle assemblee degli azionisti la facoltà di decidere le retribuzioni dei manager e dei dirigenti delle relative società.

A partire dal 2014, dunque, quando questa proposta di legge verrà ufficialmente inserita come normativa all’interno della Costituzione  elvetica, per i manager svizzeri non sarà più possibile fare affidamento su indennità di entrata, buoneuscite, indennizzi e altri tipi di bonus milionari che ad oggi costituiscono una parte importante delle retribuzioni da favola percepite dai  numeri uno aziendali.

Fino ad oggi, infatti, è stata appannaggio dei soli consigli di amministrazione la facoltà di decidere in merito a questioni inerenti gli stipendi iridati dei supermanager, che, da venti anni a questa parte, hanno di conseguenza scelto di allinearsi al modello americano delle retribuzioni a sei zero e più.

Questa prassi ha permesso a manager come Daniel Vasella, della Novartis, di guadagnare oltre 300 milioni di euro nel corso della sua carriera e a numeri uno come, Brady Dougan del  Credit Suisse, di percepire oltre 50 milioni di euro in un anno. 

Secondo alcuni addetti ai lavori la nuova legge svizzera potrebbe incidere negativamente sulle possibilità di afflusso nel territorio elvetico dei capitali internazionali, o potrebbe comunque generare la proliferazione di escamotage finanziari volti all’aggiramento dei divieti. Per i trasgressori, tuttavia, sono previsti fino a 3 anni di carcere.

Negli Usa scatta la sequestration

 A partire da oggi, 1 marzo, scatta in America la cosiddetta “sequestration“, ovvero una serie di tagli alle spese delle Agenzie federali che incideranno sul budget complessivo del 2013 per 85 miliardi di dollari.

L’attività del sequester, inoltre, non sarà limitata al solo 2013, ma si protrarrà anche negli anni a venire, cioè per i prossimi dieci anni, consentendo così un risparmio complessivo che alla fine delle operazioni ammonterà ad un totale di 1200 miliardi di dollari.

Ben Bernake difende la FED e la sua politica monetaria

Questi tagli andranno a colpire i 50 Stati americani più il distretto federale di Washington, così come precisato da un dettagliato report sulla faccenda, diffusa dall’amministrazione di Barack Obama. I tagli sono finalizzati al contenimento delle spese federali e all’abbattimento progressivo del debito, che negli Usa ha raggiunto i 16.400 miliardi di dollari.

Il rischio “sequestrer” per gli Stati Uniti

I settori interessati dalla maxi manovra decennale saranno in primis quello difesa e poi a rotazione tutti gli altri. Si inizierà, infatti, proprio nel 2013 con 47 miliardi in meno ai programmi attuati per scopi difensivi, per poi passare alla importante fetta rappresentata dalla sanità, cioè l’assistenza Medicare, che verrà privata di 10 miliardi.

Altri settori interessati dai tagli saranno poi quelli del lavoro, dell’educazione, della disabilità e dell’ambiente, settori che già danno molto da discutere: solo per il 2013 si stimano 750 mila occupati in meno.