Il Tax Freedom Day si allontana sempre di più

 Gli italiani hanno perso in media 500 euro del loro stipendio nel corso del 2012, con una perdita concentrata maggiormente nelle retribuzioni reali dei dipendenti della pubblica amministrazione e del settore del credito.

► Meno 500 euro nelle buste paga degli italiani

A questa emorragia di denaro si aggiunge il fatto che la pressione fiscale in Italia è sempre più alta – per il 2013 la CGIA di Mestre, che ogni anno fa il calcolo dei giorni di lavoro necessari per poter essere in regola con il fisco, ha calcolato che arriverà al 44,4% – e quindi gli italiani hanno dovuto lavorare quasi sei mesi per pagare le tasse.

Per l’esattezza i giorni di lavoro necessari per pagare le tasse sono stati 162 e il Tax Freedom Day – il giorno di ‘liberazione fiscale’, quello in cui si smette di lavorare per il fisco – arriverà il prossimo mercoledì 12 giugno.

Il problema del carico fiscale sui contribuenti italiani si sta facendo sempre più grave: non si era mai registrato prima di ora un tempo così lungo per il pagamento delle tasse nella storia recente del paese. La CGIA di Mestre ha valutato che la pressione fiscale sugli italiani è aumentata di 13 punti in poco più di 30 anni, dal 1980 ad oggi.

► Perché così tanta differenza tra pressione fiscale reale e pressione fiscale ufficiale?

La causa di questo altissimo prelievo fiscale in Italia è l’economia sommersa, quella sulla quale non si pagano le tasse e che, quindi, contribuisce ad aumentare la pressione fiscale reale, per il 2013 arriverà al 53,8%, ossia il contributo che devono versare allo stato coloro che le tasse le pagano sempre: facendo il calcolo con questa percentuale il Tax Freedom Day si sposta al 16 luglio.

Tassa licenziamento per finanziare l’Aspi: chi paga e chi no

 Attiva dal primo giorno di quest’anno (1 gennaio 2013) la tassa sul licenziamento è stata creata al fine di indennizzare i nuovi ammortizzatori sociali, l’Aspi e la mini Aspi che rimpiazzano i precedenti sussidi di disoccupazione. Quando il datore di lavoro desidera licenziare un dipendente deve pagare questa tassa. Nello specifico, il contributo Aspi è obbligatorio in tutti i casi di interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, escludendo però le ipotesi di perdita del lavoro per dimissioni e risoluzione consensuale.Scadenza

Per ciò che concerne il pagamento del ticket della tassa, la disciplina a regime contempla come scadenza il mese successivo al mese del licenziamento. In ogni caso per quanto concerne le risoluzioni dei rapporti di lavoro avvenute durante il primo trimestre del 2013 viene stabilita come data ultima per il versamento della tassa che finanzia la nuova indennità di disoccupazione, l’Aspi, un rinvio al 16 giugno che, ‘capitando’ di domenica, viene posticipato a lunedì 17.

Il pagamento della tassa sul licenziamento deve avvenire in una sola soluzione e per ciò che concerne il calcolo dell’imposto, il datore di lavoro è obbligato a versare 483,80 euro per ogni 12 mesi di anzianità aziendale, con un importo che non può superare i 1451 euro.

Contributo Aspi: chi non paga

Occorre infine tenere presente che in alcuni casi la tassa non è dovuta. Nello specifico non è dovuto il contributo di licenziamento, per il periodo 2013–2015, per ciò che riguara i casi di licenziamenti perfezionati successivamente a dei cambi di appalto, ai quali siano succedute assunzioni presso altri datori di lavoro, in applicazione di clausole sociali che garantiscano la continuità occupazionale prevista dai contratti collettivi nazionali di lavoro (Ccnl) ovvero nei casi di interruzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato, nel settore delle costruzioni edili, per completamento delle attività e chiusura del cantiere, così come restano escluse dal ticket sul licenziamento le cessazioni intervenute successivamente ad accordi sindacali nell’ambito di processi di riduzione di personale dirigente, conclusi con accordo firmato dall’associazione sindacale stipulante il contratto collettivo di lavoro della categoria.

Perché così tanta differenza tra pressione fiscale reale e pressione fiscale ufficiale?

 Molte notizie che si sono sentite anche in questi ultimi tempi danno l’Italia come il paese nel quale si pagano più tasse al mondo. Ma qual è il motivo per cui accade? E, soprattutto, per quale motivo c’è una differenza di dieci punti percentuali tra la pressione fiscale reale e la pressione fiscale ufficiale?

► Le strategie del Governo per allentare la pressione fiscale

Per capire questa discrepanza è necessario definire le due pressioni fiscali. La pressione fiscale ufficiale è quella che si ottiene dal risultato della divisione del totale delle entrate tributarie del paese per il Pil generato.

Nel caso dell’Italia questa divisione dà come risultato che la pressione fiscale ufficiale italiana e al 45%.

Però, i dati ci dicono che la pressione fiscale reale è al 55%. La motivazione di questa discrepanza così evidente sta nei 275 miliardi di euro che ogni anno vengono sottratti al paese dalla cosiddetta economia sommersa. Quindi, sempre riferendosi alla divisione precedente, il denominatore non sarà più il Pil, ma il suo valore meno l’economia sommersa.

► Il fisco italiano è uno dei più “pesanti” d’Europa

Questo fa sì che la pressione fiscale reale – ossia l’ammontare di tasse che realmente vengono pagate dai contribuenti, quelli in regola con fisco – sia più alta di 10 punti percentuali rispetto a quella ufficiale.

 

Il Codacons chiede il taglio delle tasse sulle famiglie

 Uno dei grandi nodi da sciogliere dell’ attuale congiuntura economica italiana è sicuramente quello di far ripartire i consumi. Solo alcuni giorni fa, infatti, la Confcommercio ha diffuso i dati relativi all’ andamento dei consumi italiani nel mese di aprile 2013, rivelando come, con una ulteriore flessione del 3,9%, si è potuto assistere al 17 esimo calo di questi ultimi in 20 mesi consecutivi. 

5 miliardi di rimborsi Iva alle imprese

 Il direttore dell’ Agenzia delle Entrate Attilio Befera, nel corso di una audizione alla Commissione finanze della Camera, ha fatto il punto sul piano di lavoro dell’ agenzia che ha toccato direttamente le imprese italiane nel corso dei primi mesi del 2013. Formulando anche qualche ipotesi per il futuro.

Cosa cambia nei bonus casa

 I cittadini che pensavano di aver perso l’occasione di riparare casa, di innalzarne il livello energetico, e di farlo con qualche sconto, possono tornare a sorridere visto che il bonus energia è stato prolungano e le norme per accedervi sono cambiate leggermente.

Prolungati i bonus ristrutturazioni

I bonus casa che ci sono adesso garantiscono uno sconto fino al 65 per cento e non si dovrà aspettare di arrivare al primo luglio – giorno in cui scadranno i valori compresi nel precedente decreto legge – ma sono validi da subito. Insomma si comincia con un mesetto d’anticipo a risparmiare qualcosa.

In pratica tutti i bonifici bancari oppure postali che sono stati usati per pagare le spese di ristrutturazione finalizzate al risparmio energetico, godranno di uno sconto del 65 per cento. Il fatto che siano usati per pagare i lavori fatti nei giorni scorsi o quelli ancora da fare, non importa.

Pronta la proroga per i bonus energia

Lo sconto, ad ogni modo, sarà valido fino alla fine dell’anno, fino al 31 dicembre 2013 e riguarderà sia le abitazioni singole abitazioni sia i condomini, ma per queste ultime unità abitative, per usufruire della riduzione dei costi di ristrutturazione, ci sarà tempo fino al 30 giugno 2014.

Anche il bonus al 50% per i lavori di ristrutturazione è stato prolungato fino al 31 dicembre 2013 e il tetto massimo di spese è confermato a 96 mila euro.

Debutta la versione soft del Redditometro

 Quella del Redditometro che debutterà proprio nei prossimi giorni è stata già ribattezzata da molti “versione soft”, cioè una variante decisamente addolcita di quella che era stata inizialmente prospettata mesi addietro. 

Nessun prelievo sulle pensioni d’oro, lo dice la Consulta

 La tassa di solidarietà obbligatoria per le pensioni d’oro introdotta con il decreto legge n. 98 del 2011 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria) è stata ritenuta incostituzionale. Lo ha deciso questa mattina la Corte Costituzionale, depositando la sentenza 116/2013.

► E se si tagliassero le pensioni d’oro?

La norma in questione prevede che, dal primo agosto 2011 fino al 31 dicembre 2014, le pensioni il cui importo lordo fosse superiore ai 90 mila euro, fossero soggette ad un contributo del 5% per la parte eccedente i 90 mila euro e fino ai 150.000 mila, del 10% per le pensioni tra i 150 e 200 mila e del 15% per quelle sopra i 200 mila euro.

Un magistrato della Corte dei Conti ha fatto ricorso contro questa norma, accolto dalla Consulta. La Corte dei Conti ha infatti deciso che questo contributo è di natura tributaria e se applicato secondo quanto predisposto dalla norma diviene discriminatorio perché colpisce la sola categoria dei pensionati, mentre alter categorie che hanno redditi molto alti non sono tassate.

I riferimenti normativi della sentenza della Corte dei Conti sono stati gli articoli 3 e 53 della Costituzione, rispettivamente sul principio di uguaglianza e sul sistema tributario.

► Il piano governativo per i giovani

Si tratta di una decisione che rimette in discussione quelli che sembravano essere dei punti fermi del programma del Ministro Giovannini che giorni fa aveva proposto proprio la tassazione sulle pensioni d’oro per trovare le risorse necessarie al rilancio dell’occupazione.

Il Governo ripensa all’accisa sul fumo elettronico

 Bandite dai locali pubblici come già succede in Francia, le E-Cig potrebbero essere la prossima ‘miniera d’oro’ per il Governo. Le sigarette elettroniche si configurano infatti come una potenziale fonte da cui attingere per rimpinguare le casse dello Stato.

Torna di moda l’idea di tassare il fumo elettronico, dunque.

E intanto, il presidente dell’Anafe Massimiliano Mancini si dichiara favorevole a una tassazione che sia però proporzionata e non sbilanciata.

Rimane un problema: come costruirla? Al momento le sigarette elettroniche vengono considerate fuori da ogni categoria. Sono ‘presidi medici’ che aiutano i fumatori oppure sono da paragonare alle sigarette bionde tradizionali (ancora meno dannose)?.

Si avverte, in ogni caso, la necessità di aumentare le entrate. Mancini si augura che si parta con un tavolo di trattative, ma che prima vi sia una fase di analisi, con la partecipazione di tutti gli interessati “per arrivare a una regolamentazione che valuti costi e benefici, sanitari ed economici”.

E’ dunque nuovamente all’ordine del giorno l’idea di procedere con l’introduzione di un balzello relativo alle nuove sigarette. L’Associazione di categoria vuole però chiarezza. Fissare l’imposta sul consumo in misura pari a quella sulle sigarette tradizionali equivarrebbe in pratica a triplicare i prezzi dei “ricambi” usa e getta, che sono la parte più italiana della filiera. Un business da 175 milioni nel 2012. Oggi il mercato del tabacco tradizionale vale per lo Stato oltre 13 miliardi di euro

Le nuove società di riscossione dei Comuni italiani

 In tutti i Comuni italiani è da pochi giorni scattato il dopo – Equitalia, ovvero quella sorta di “interregno” che servirà alle amministrazioni locali per organizzarsi a trovare le nuove società di riscossione, che a breve dovranno farsi carico di oneri e onori che fino alla prima parte di quest’ anno erano stati di Equitalia S.p.a, la società di recupero crediti che lavora in collaborazione con l’ Agenzia delle Entrate.