JP Morgan multata a Wall Street

 JP Morgan è un punto di riferimento del sistema creditizio statunitense ma questo non vuol dire che la banca d’affari abbia sempre giocato in modo trasparente. Adesso, però, le autorità americane sono intervenute per chiedere di saldare i conti, quelli legati agli “errori” del passato, ai mutui subprime per esempio o al trading londinese.

JP Morgan, quindi, da un momento all’altro potrebbe vedersi recapitare una multa da 6 miliardi di dollari. Un risarcimento che andrebbe a coprire le spese sostenute per gli avvocati e per i ricorsi. I mutui subprime sono stati considerati il punto di partenza del tracollo finanziario degli States. Il reato connesso all’attività della banca americana è quello di frode sui titoli garantiti da mutui subprime.

I rischi delle valute dei paesi emergenti

L’inchiesta che ha coinvolto JP Morgan, in realtà, va avanti da parecchio, dal 2011, anno in cui la banca d’affari è stata sottoposto alle indagini della magistratura americana insieme ad altre sei banche che avevano venduto dei titoli rischiosi alle aziende come Fannie Mae e Freddie Mac che si occupavano del rifinanziamento immobiliare.

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Le aziende in questione poi, sono fallite e sono state salvate dallo stato americano. La multa che adesso è stata indirizzata a JP Morgan supera di molto la somma di tutti i profitti registrati nel 2013 dalle banche incriminate nel loro insieme.

Rischio di deficit di liquidità per il Tesoro USA

 I problemi relativi alle crisi di liquidità e quelli relativi al debito pubblico sembrano non interessare solo i Paesi del Vecchio Continente, ma affacciarsi anche oltreoceano. In America, infatti, negli Stati Uniti, potrebbe diventare sempre più concreto un rischio di deficit di liquidità per il Tesoro. E il Segretario al Tesoro, Jack Lew, ha subito lanciato l’ allarme.

Tetto del debito USA raggiunto ad ottobre

  I mercati spaventati dalla Siria dopo l’annuncio degli States che dichiarano di voler intervenire al più presto in Medioriente dove la situazione si sta facendo sempre più tesa. Gli USA mantengono in apprensione tutti i mercati, sia per questa volontà interventista, sia per la questione del debito, il cui tetto, stando alle ultime notizie, dovrebbe essere raggiunto già nella metà di ottobre.

L’allarme, in tal senso, è stato lancio dal segretario Law che spiega come gli Stati Uniti saranno presto costretti ad affrontare un deficit di liquidità poiché ci sono 50 miliardi di liquidità a disposizione. Una situazione del genere non doveva tardare a presentarsi ma secondo le stime ottimistiche del Ministero del Tesoro americano, si poteva tirare fino a novembre. Invece, il tetto del debito potrebbe essere raggiunto molto prima, già alla metà di ottobre.

Perchè gli USA investono nell’UE

La discussione infiammerà il Congresso americano a partire dal 9 settembre. In queste due settimane che ci separano dalla data fatidica, potrebbe risolversi la questione siriana. Per evitare di raggiungere il tesso sull’indebitamento è necessario che il Congresso trovi un accordo sui conti pubblici. Sembra di tornare indietro nel tempo al 2011 quando per un mancato accordo e per gli allarmi legati al possibile default degli States, Standard&Poor’s decise di operare un downgrade del debito americano. Le conseguenze sui mercati furono inevitabili.

Da settembre via al tapering

 Il FMI ha partecipato al simposio organizzato dalla Federal Reserve e il direttore generale ne ha approfittato per dire la sua sull’abbandono del programma di Quantitative Easging. Gli stimoli monetari, in un periodo di forte crisi, sono stati cruciali anche se hanno determinato un protagonismo inaspettato delle banche centrali.

Attesa per l’ultima riunione della FED

Adesso negli Stati Uniti è iniziata la ripresa e il mercato appare molto tranquillo tanto che gli investitori hanno dirottato negli States i fondi che prima tenevano al sicuro nei paesi emergenti. Eppure l’America ha ancora molto da fare: è necessario consolidare l’economia con le riforme strutturali, un po’ come nel Vecchio Continente, per questo il FMI suggerisce di non avere fretta nell’abbandono del QE.

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Il numero uno della FED di Dallas, però, Richard Fisher, ha già detto che da settembre partirà il tapering dell’istituto monetario di Washington. Nonostante all’ordine del giorno ci sia la questione della scelta del successore di Bernanke, sarà sufficiente analizzare degli indicatori macroeconomici per prendere le decisioni definitive.

Il tapering, il piano di riduzione degli stimoli monetari, dovrebbe andare avanti per oltre quattro anni, ma l’avvio, deciso, ci sarà sicuramente entro la fine del 2013. Il prossimo mese è in programma una nuova riunione della FED ma prima della data saranno studiati tutti i market mover per far sì che il mercato non risenta di questa situazione.

Cosa ha fatto impazzire il Nasdaq

 La volatilità agostana, proverbiale nel settore finanziario, si è fatta aspettare per un bel po’ ma alla fine è arrivata. La considerazione è fatta partendo da quel che è successo al Nasdaq che ha vissuto una tempesta di tre ore che gli analisti hanno provato ad analizzare con lucidità.

Mercati emergenti non più appetibili

La tempesta, la pazzia del Nasdaq, non è legata agli indici o alle azioni quotate nel mercato americano. Per tre ore, infatti, non sono stati reperibili i prezzi sui monitor dei trader. Questo vuol dire che la tempesta si è legata soprattutto al cattivo rapporto tra tecnologia e mercati finanziari. Adesso tocca alla Securities and exchange commission, la Sec, fare un’indagine accurata.

Record a Wall Street ma crolla l’Asia

Il presidente della Sec ha comunque commentato a caldo l’accaduto spiegando che questo problema tecnico deve stimolare ancora di più l’impegno della collettività alla risoluzione dei problemi finanziari legati al malfunzionamento delle tecnologie. Il problema è molto sentito. Anche a marzo, per esempio, tutti gli attori del mercato, sono stati obbligati a rispettare una policy e delle procedure precise, finalizzate a migliorare la sicurezza e l’affidabilità dei sistemi tecnologici.

In pratica software e hardware di cui la borsa si serve per gestire i suoi traffici, saranno sottoposti a standard per l’installazione, la gestione, ma anche per i test e per la supervisione.

 

Mercati emergenti non più appetibili

 Gli investitori hanno ormai smesso di credere nella redenzione dei mercati emergenti, quelli su cui avevano puntato per lungo tempo. Ma è davvero finito l’effluvio di denaro verso le economie ancora in fase di sviluppo? La domanda sorge spontanea dopo aver considerato quello che è successo all’India dove la rupia è calata in modo vertiginoso ed ha eroso il business dei magnati del paese.

La rupia torna ai minimi storici

In questo momento, comunque, gli investitori sono attratti dall’America. Negli Stati Uniti è iniziata infatti la ripresa e questo dà fiducia a chi deve far fruttare il proprio capitale. In sostanza si preferisce investire in azioni americane, piuttosto che puntare ai mercati emergenti. A dirlo è una ricerca di Bloomberg.

Pronta una banca mondiale per gestire l’ascesa

Il riferimento cronologico è al 2013, anno in ci i fondi d’investimento USA sono stati in grado di capitalizzare circa 95 miliardi di dollari a fronte di una vendita pari a 8,4 miliardi di dollari. Lo stesso indice S&P ha dimostrato di saper accelerare la corsa sui mercati guadagnando il 70% in più di quello che sono in grado di guadagnare gli indici dei mercati emergenti Msci.

Quello che però colpisce dell’America di Barack Obama è la stabilità. Il mercato americano, adesso, è più calmo di quello cinese, di quello brasiliano, di quello indiano e di quello russo.

L’utile trimestrale di Dell testimonia il crollo

 Avete mai pensato a quante cose si possono fare con un tablet o con uno smartphone? Si può telefonare, quello è normale, ma si possono anche realizzare foto e video di alta qualità. si possono leggere i giornali, archiviare documenti, ascoltare la musica, accedere al proprio archivio digitale. In fondo, nonostante le dimensioni ridotte dello schermo e qualche problema legato alla connessione internet, i tablet e gli smartphone possono essere sufficienti per la gestione dell’identità digitale e qualche sono anche ottimi strumenti di lavoro.

In crisi tutta l’industria degli elettrodomestici

Si capisce allora che le imprese che hanno concentrato sforzi ed energie nella produzione esclusiva di notebook e computer desktop, per quanto possano mettere in commercio prodotti raffinati e interessanti, iniziano a subire una discreta concorrenza. Potrebbe essere il solito luogo comune, ma a guardare i risultati di Dell si ottengono le prove giuste.

Acer vuole il mercato dei mini tablet

L’azienda americana in questione, infatti, ha annunciato ai mercati, con sette giorni d’anticipo, la contrazione dei conti trimestrali. E’ stato certificato infatti un crollo del 72 per cento degli utili che sono stati contabilizzati in 204 milioni di dollari. Gli analisti avevano quasi centrato la performance aspettandosi un guadagno di 24 centesimi per azione. Adesso, a conti fatti, ogni azione della Dell costa 25 centesimi.

I soci di Dell stanno valutando l’ipotesi di delistare il gruppo da Wall Street.

La produzione del petrolio favorisce la Cina

 La Cina, in questo momento, ha superato gli Stati Uniti per quanto riguarda la produzione di petrolio. La competizione tra Cina e USA, ormai, è proverbiale, soprattutto in periodo di crisi economica. La Cina ha rallentato la produzione ma resta un caposaldo dell’economia internazionale.

Quello che attualmente si evince dai dati disponibili è che la produzione americana di petrolio crescerà ancora. Il periodo di riferimento usato per fare la stima è quello iniziato nel 2011 che si concluderà soltanto nel 2014. La crescita di cui si parla porterà la produzione di petrolio a 13 milioni di barili al giorno.

Pechino ridona fiducia alle borse europee

Sul versante cinese, invece, la produzione dell’oro nero crescerà ancora del 6 per cento e arriverà ad un uso di 11 milioni di barili al giorno. La domanda di petrolio che invece si registra negli USA è di 18,7 milioni di barili al giorno. Le statistiche che tengono a mente quel che è successo negli anni scorsi, dicono che siamo abbondantemente sotto il picco USA di 20,8 milioni di barili del 2005.

Il petrolio cresce per colpa dell’Egitto

In prospettiva, quindi, dal prossimo ottobre, la Cina potrebbe diventare il primo importante netto di petrolio, andando ad occupare il posto su cui oggi siedono gli Stati Uniti. La stima è stata realizzata dall’Eia, l’ufficio informazione del dipartimento energetico statunitense.

L’incremento della domanda cinese e l’aumento della produzione di petrolio da parte degli Stati Uniti, sanno alla base di questo cambiamento.

Perchè gli USA investono nell’UE

 I paesi stabili dal punto di vista economico e politico attraggono numerosi investimenti. Chi compra titoli del debito di un paese, con un certo rendimento, sa che alla scadenza dei titoli avrà un guadagno assicurato, un guadagno che cresce all’aumentare dell’instabilità del paese.

La ripresa è vicina secondo la BCE

Il problema, in questa catena di rischi, c’è quando un paese offre dei titoli di stato ad un rendimento molto alto ma allo stesso tempo rasenta il default. La bancarotta, infatti, presuppone che non siano più pagati i rendimenti davanti ad una situazione di crisi conclamata. Il Vecchio Continente quanto a rendimenti alti e instabilità politico-finanziaria, può certamente dare lezioni. Tutta l’UE è stata pesantemente bersagliata dalla crisi.

L’esigenza di un rating imparziale

C’è da chiedersi allora perché gli investitori statunitensi siano interessati ai titoli spazzatura dell’Europa. Un dilemma che deve essere sciolto per capire meglio i trend del mercato finanziario. Le aziende europee, per esempio, nel 2013, hanno già venduto 106,6 miliardi di dollari di azioni in più rispetto all’anno precedente. Una vendita che è andata di pari passo con l’aumento del 67% delle vendite di titoli del debito spazzatura.

C’è da considerare che questi titoli sono erogati per finanziare l’attività dei privati ma i problemi si avranno soltanto a partire dal 2016 o dal 2018 quando inizieranno ad essere riscossi i rendimenti. In più, per il momento, l’attività delle banche centrali, è da considerarsi rassicurante e quindi è in grado di calmierare la situazione.

Microsoft e la zavorra di Surface

 Il mercato dei tablet è sicuramente interessante e in espansione ma le aziende che sanno approfittare di questo trend di mercato non sono molte. Nell’ultimo periodo, stando ai risultati in gioco, non sembra fa parte del club nemmeno Microsoft che proprio per il fatto di essere zavorrata da Surface, potrebbe perdere il suo smalto.

Microsoft assume in Italia

Surface è il tablet targato Windows, presentato al mercato, per la prima volta, soltanto l’anno scorso. Le vendite, che si preannunciavano importanti, sono rimaste invece ad un livello molto basso. Il prodotto in questione, infatti, non sembra rispondere alle esigenze manifestate dai fan delle nuove tecnologie.

I ricchi stagisti di Google, Amazone Microsoft

L’amministratore delegato di Microsoft, quindi, Steve Ballmer, aveva spiegato che Surface sarebbe stato una vera rivoluzione per il mondo della tecnologia. Invece, a distanza di 12 mesi, bisogna constatare che i tablet Windows venduti sono proprio pochi. Qualcuno pensa sia colpa della scarsa promozione del prodotto che è stato pubblicizzato insieme a Windows 8.

I soldi spesi per la promozione sono stati maggiori dei ricavi ottenuti da questo prodotto. I risultati di Windows sono stati resi noti di recente dall’azienda, attraverso il consueto documento inviato alla Securities and Exchange Commission.

Nelle mani della SEC, adesso, il rapporto annuale sulle operazioni della società che da Surface, dall’ottobre del 2012 ad oggi, avrebbe ricavato soltanto 853 milioni di dollari.