La piena occupazione USA è una chimera

 Ci sono notevoli indizi del fatto che anche se l’economia è in ripresa, al ritmo di crescita lento che ha in questo momento, non si potranno vedere vantaggi reali di qui a 7-8 anni. Almeno per quello che riguarda l’America.

► Brusca frenata dell’economia americana

Gli ultimi dati disponibili sull’economia del paese che a fatica ha superato, o meglio rimandato, l’incubo del fiscal cliff, parlano di una media di 181.000 posti di lavoro al mese per tutto il 2012. Quindi, benché si parli di crisi, l’economia e il mercato del lavoro in particolar modo, sono risultati più vivaci l’anno scorso che nel 2011 e nel 1010.

► Individuate le cause del deficit americano

L’economia, tuttavia, cresce ad un ritmo molto lento e deve fare i conti con una serie di falle aperte nei bilanci a stelle e strisce. L’obiettivo di molti è arrivare alla piena allocazione delle risorse, un mito economico che rincorre l’America dai tempi di Keynes. In realtà, se anche l’economia dovesse procedere al ritmo adottato nel 2012, non si arriverebbe alla condizione ottimale se non tra 9 anni e 3 mesi. La piena occupazione è lontana e questa sensazione è suffragata dal calcolatore di posti di lavoro del Progetto Hamilton.

Un’alternativa alla condizione attuale, quindi la soluzione per arrivare prima del previsto all’obiettivo, secondo le ipotesi Hamilton è nel pensionamento a ritmi più veloci della popolazione anziana e nella parallela crescita più lenta della popolazione.

La prossima crisi partirà dal dollaro

 La prossima crisi valutaria potrebbe partire in seno all’America, nel suo cuore, negli Stati Uniti che adesso stanno combattendo per una risoluzione senza traumi del fiscal cliff, rimandando di mese in mese la decisione sulla riforma fiscale, ma che dovrebbero ripartire alla grande nella seconda metà del 2013.

Le speranze, all’indirizzo degli States, resistono mentre per quel che riguarda il Vecchio Continente, tutti dicono che la crisi nella zona Euro non è finita. L’America dovrebbe tornare a sorridere, economicamente e finanziariamente parlando, nella seconda metà del 2013.

Da quel momento in poi gli analisti prevedono che si scateni una vera e propria corsa del dollaro di durata quinquennale. Un’eventualità che spaventa gli economisti come Andy Xie che s’immagina una crisi dei mercati emergenti dopo la resurrezione del dollaro.

► L’indice Big Mac evidenzia la forza dell’euro

Secondo Xie, l’indice del dollaro dovrebbe salire a 100 in tre anni, guadagnando il 25% rispetto ai livelli attuali, innescando una crisi nei paesi emergenti che adesso funzionano da traino. Non è uno scenario del tutto nuovo, in fondo, visto che già negli anni Ottanta e nel 1997 la crisi del debito dell’America Latina e la crisi finanziaria asiatica, sono coincise con un apprezzamento del dollaro rispetto alle valute locali.

In tal senso i paesi maggiormente a rischio sono i paesi BRIC, vale a dire Brasile, Russia, India e Cina che costruiscono il loro business con numerosi investimenti esteri.

Mercato valutario e pubblicazioni odierne

 Ogni giorno ci sono un buon numero di pubblicazioni che influenzano l’andamento delle valute e possono incidere sullo scacchiere internazionale. Nella giornata di oggi, i market mover più quotati, puntano a far oscillare il dollaro australiano, l’euro, la sterlina e il dollaro americano.

Per quanto riguarda il dollaro australiano, saranno importanti i dati sui permessi di costruzione che hanno un impatto notevole visto che illustrano la salute del comparto immobiliare. Ottenere un permesso per costruire vuol dire avviare un nuovo business. Gli analisti si aspettano un valore prossimo all’1,1 per cento, in discesa rispetto alla lettura precedente, ma se qualcosa dovesse spingere al rialzo, potrebbe essere scatenato il rialzo anche del dollaro australiano.

► Australia, Regno Unito, Canada e il mondo ForEX

I market mover che interessano l’euro sono di medio impatto e riguardano il cambiamento dell’occupazione in Spagna, la rilevazione dell’indicatore del sentiment degli investitori e poi l’indice dei prezzi di produzione.

► L’euro ai massimi da novembre 2011

La sterlina, invece, sarà influenzata dalla pubblicazione dell’indice PMI delle costruzioni che potrebbe migliorare in modo sensibile portando tutta la zona inglese verso il terreno espansivo. Ci sono quindi buone opportunità rialziste sulla moneta inglese.

Resta da analizzare quel che accade in America dove ad incidere sulle quotazioni del dollaro dovrebbe essere la pubblicazione dell’indice degli ordini industriali che secondo gli analisti dovrebbe migliorare rispetto alla rilevazione precedente.

Krugman sulla contrazione americana

 Che l’America fosse in un momento di crisi economica lo si era capito benissimo alla vigilia di Natale. La neoeletta amministrazione di Barack Obama, al secondo mandato come presidente degli Stati Uniti aveva ricevuto la patata bollente del fiscal cliff.

La risoluzione dei problemi, arrivata proprio nell’ultimo secondo possibile, ha fatto tirare un sospiro di sollievo all’America e alle economie maggiormente legate al Nuovo Mondo. Peccato che sia stato solo un “posticipare” la trattazione del problema perché comunque c’è stata una brusca frenata dell’economia americana.

► Posticipato il raggiungimento del tetto del debito

Così, l’avvio del 2013 ha visto l’entusiasmo nelle borse e la consapevolezza che nel quarto trimestre dell’anno il PIL, a sorpresa, non ha retto a tanto sconquasso ed è andato in leggera flessione. Sicuramente hanno determinato questa situazione una serie di fattori “una tantum”, quali la riduzione delle risorse o il calo delle spese destinate alla difesa.

Allo stesso tempo si è notato che l’acquisto di beni e servizi da parte del governo è cruciale nello sviluppo del paese e qui l’interpretazione dei dati ha lanciato l’ipotesi Krugman: più che di contrazione dell’economia, bisognerebbe parlare di contrazione del governo.

► Krugman sul fiscal cliff

La riduzione del PIL americano è legata alla minore incidenza del governo nelle spese “importanti” tanto che oltre ad un rallentamento dell’economia, si è arrivati a parlare addirittura di contrazione. Per evitare di nuovo il precipizio sarà necessario intervenire su disoccupazione e fisco.

Profitti in crescita per Exxon e Chevron

Apple lascia lo scettro ad Exxon sancendo da un lato la decrescita dei profitti delle aziende tecnologiche e dall’altra l’incremento delle aziende che si occupano di petrolio.

In effetti, stando alle numerose previsioni in circolazione, gli Stati Uniti verso l’autonomia petrolifera sono già in cammino. E così non stupisce la crescita dei profitti di Exxon, che arriva proprio nel momento in cui in Europa, le raffinerie, chiudono una dopo l’altra perché i margini di guadagno sono sempre più sottili e perché la domanda stessa di carburanti è diminuita.

In questo periodo in cui sono pubblicati i dati trimestrali delle corporate e stelle e strisce, si apprende che vanno molto bene i risultati ottenuti da ExxonMobil e Chevron che, grazie alla lavorazione del petrolio grezzo sono riuscite ad andare oltre le previsioni degli analisti.

I bilanci di queste aziende fanno tirare un sospiro di sollievo all’America, ancora in tensione per il baratro fiscale, infatti, anche l’Agenzia internazionale per l’energia ritiene che una crescita USA nel settore petrolifero, potrebbe consentire all’America di superare l’Arabia Saudita nella produzione del petrolio nel mondo.

Le aziende in questione, rispetto ad estrazione, produzione e distribuzione dell’oro nero, si sono mosse in modo eccellente.

Sempre minore l’import europeo dagli USA

 L’Europa è in crisi e se non arriva la metà del 2013 è molto difficile che siano evidenti i segnali di ripresa dai settori più svariati, quello immobiliare in primis.

► Per l’immobiliare ripresa dal 2014

Un recente report relativo ai traffici in entrata e in uscita dal Vecchio Continente, ha evidenziato che continua a scendere l’esportazione di legname di latifoglia dagli Stati Uniti verso l’UE. I dati sono chiaramente riferiti al 2012, ai primi nove mesi dell’anno scorso, quando c’è stata una diminuzione delle importazioni pari al 12 per cento. Se volessimo tradurre questa percentuali in dollari, diremmo che c’è stato un calo del valore del commercio di legname pari a 193,4 milioni di dollari.

L’export statunitense è calato per via della crisi dell’Europa, molto forte in alcuni paesi cruciali per il commercio del legname come lo sono l’Italia e la Spagna che stanno ancora sciogliendo alcuni nodi cruciali per l’economia.

► Nel 2013 si potrà investire tranquillamente sulle commodities

In generale gli acquisti di american hardwoods, nei primi 9 mesi del 2012, sono scesi del 33,6 per cento. L’Italia resta il primo tra i paesi acquirenti – in termini di volumi – di legname americano, ma se il riferimento sono i valori in dollari, l’Italia è stata superata dal Regno Unito.

Il mercato è comunque condizionato, in questo momento, dall’incertezza per le sorti future del Vecchio Continente.

A gennaio il PIL USA cala dello 0,1 per cento

 Chi ha creduto che l’America si fosse davvero svegliata dal torpore in cui era piombata dopo lo scampato baratro fiscale, si è dovuto ricredere adesso che è stato finalmente pubblicato il dato sul PIL a stelle e strisce. L’economia degli Stati Uniti, infatti, ha subito una battuta d’arresto, un calo “inaspettato” dello 0,1 per cento in relazione al quarto trimestre dell’anno.

Brusca frenata dell’economia americana

Gli analisti si aspettavano una crescita molto rallentata, ma credevano anche con gli opportuni stimoli da parte della Federal Reserve, si potesse pian piano riprendere il volo. La verifica della contrazione dell’economia nel periodo che intercorre tra ottobre e dicembre, è stata una doccia fredda, soprattutto se si considera che per gli americani la recessione è finita.

Il rallentamento non è lieve come sarebbe potuto esserlo la crescita del paese, è considerato invece molto profondo. Adesso ci si chiede se l’America abbia davvero gli strumenti e le competenze per gestire la riforma fiscale, quindi per decidere un bel taglio alla spesa pubblica con il relativo aumento delle tasse.

 Dati Ilo su occupazione mondiale

Ma perché c’è stata la contrazione? Questa è la domanda che si pongono soprattutto gli investitori in opzioni binarie che stanno tracciando il trend del futuro. Probabilmente si tratta di una catena di concause, dai tagli alla spesa all’aumento delle imposte alla mancanza di una riforma del lavoro adeguata a creare nuovi posti di lavoro.

Brusca frenata dell’economia americana

 Nessuno se lo aspettava. Le stime di crescita del Pil americano erano del +1%. E la prima volta che accade dopo circa un anno in cui l’economia americana stava dando segnali, anche se deboli, di crescita.

Ora sul paese si affaccia nuovamente la paura della recessione.

Secondo gli analisti questa brusca frenata è stata causata dalla forte riduzione della spesa pubblica -caduta del 15%, una flessione che non si vedeva dal 1973-  e dal dibattito che ha coinvolto l’amministrazione Obama proprio su temi particolarmente delicati per l’economia come il fiscal cliff e il tetto del debito.

► Cosa succede se il tetto del debito americano non verrà alzato

Tutti sorpresi, a maggior ragione se si pensa che la crescita del terzo trimestre del 2012 è stata pari al 3,1%. Nel complesso, comunque, la crescita degli stati Uniti per il 2012 è stata del 2,2%, in accelerazione rispetto all’1,8% del 2011. Sarà per questo che alla Casa Bianca non si sono visti segni di preoccupazione.

Il capo-economista Alan Krueger, dal suo blog, ha voluto rassicurare il suo popolo, dicendo che questo calo, seppur imprevisto, è stato provocato da eventi straordinari (come l’Uragano Sandy e il dibattito sul Fiscal Cliff) e che, quindi, nel complesso l’economia a stelle e strisce sta reagendo bene alle misure prese dal governo e negli ultimi 14 trimestri l’economia è cresciuta del 7,5%.

► Obama preoccupato per il rischio default

Anche se, sottolinea Krueger, il Congresso deve cercare di darsi un budget maggiormente sostenibile e compiere investimenti per la promozione della crescita e dell’occupazione.

Chrysler cresce grazie a Fiat

 Chrysler può finalmente considerare finito il suo periodo nero. Dopo aver chiuso il 2011 con un deludente utile di 183 milioni di dollari, il 2012 si è concluso con utili pari a 1,7 miliardi di dollari, più di quanto si aspettasse lo stesso Lingotto che ne ha voluto prendere le redini.

► Accordo Fiat, Chrysler e Gac Group

E’ così che la Cenerentola di Detroit ha ritrovato la sua scarpetta di cristallo e il suo principe, che risponde al nome di Sergio Marchionne, che è stato in grado di portare le vendite mondiali della casa americana a 2,2 milioni di dollari per il 2012, che si traduce in una crescita del 18% rispetto all’anno precedente.

Solo nel quarto trimestre Chrysler ha fatto registrare un utile netto di 378 milioni -pari a 17,2 miliardi di dollari di ricavi. Facendo i conti su tutto l’anno i ricavi della Chrysler sono cresciuti del 20% (arrivando a 65,8 miliardi di dollari dai 55 dell’anno prima) grazie soprattutto ad un aumento nelle consegne di veicoli, come fanno sapere da Torino.

► Fiat molto bene a dicembre negli Stati Uniti

Marchionne si è detto particolarmente soddisfatto anche se il suo compito non è ancora terminato. L’ad di Fiat e Chrysler punta ancora più in alto e prevede che per il 2013 la controllata Fiat possa raggiungere vette ancora più ambiziose, preventivate in 2,2 miliardi di dollari.

P&G fa progressi anche in borsa

 Tutte le notizie dell’ultimo periodo, quanto ad azioni, mercato ed evoluzioni dell’economia in generale, arrivano dall’America dove le corporate sono chiamate a presentare i conti trimestrali. Abbiamo già considerato la situazione di Amazon tra bilanci deludenti e ottimi rendimenti ed abbiamo dato uno sguardo d’insieme alla borsa americana, spiegando che è Wall Street a spingere Milano in alto.

Adesso, invece, parliamo di Procter&Gamble che si conferma di nuovo come il primo produttore di beni di consumo, siano essi detersivi, profumi o il classico e comunissimo Dash. I dati sono a dir poco entusiasmanti, almeno in riferimento al secondo trimestre fiscale che si è chiuso per l’azienda a dicembre.

Le attese e le stime degli analisti sono state abbondantemente superate, sia per quel che riguarda i profitti, sia in termini di fatturato. Alla fine l’effetto sul titolo in borsa si è sentito e Wall Street ha ricompensato gli investitori. Prima ci sono stati i dati interessanti di Unilever, che hanno spianato la strada a P&G.

I profitti di quest’ultima, netti, sono stati di 4,06 miliardi di dollari, che vuol dire praticamente 1,39 dollari per azione che sono anche il 140% in più di quello che si era visto nello stesso periodo dell’anno scorso. Per l’anno fiscale 2013 le stime sono state incrementate.