Le riforme e i futuri mercati

 L’acquisto della NYSE da parte dell’ICE ha dato vita ad una delle più grandi fusioni finanziarie di tutti i tempi. Abbiamo già dato l’annuncio della conclusione della trattativa, accennando al fatto che ci sono molte implicazioni anche sul mercato europeo. Perché?

Il mercato azionario sta cambiando e quella che potrebbe sembrare una trattativa tutta americana, tra l’ICE e il NYSE, in realtà, trova il suo cuore pulsante in Europa dove si sviluppa uno dei più importanti mercati di derivati.

Il gruppo NYSE, infatti, oltre a controllare le borse nell’UE le borse di Amsterdam, Lisbona e Parigi, ha tra i suoi possedimenti anche il Liffe che è il secondo maggiore listino dei derivati del Vecchio Continente. L’ICE, quindi, secondo tanti analisti, vuole arrivare al Liffe, passando dall’acquisizione del gruppo NYSE.

Quanto pesa il Liffe nel gruppo di riferimento? Molto se si ritengono attendibili le stime della Berenberg Bank secondo cui il Liffe produce il 22 per cento dei ricavi, una quota di fatturato piuttosto piccola in grado di produrre a sua volta il 40 per cento degli utili complessivi.

In Europa, attualmente, il mercato dei derivati è capitanato dal listino Eurex ma, in vista dell’entrata in vigore della direttiva Mifid2, ispirata all’open access, si potrebbe scatenare la concorrenza. In pratica ogni listino potrà creare contratti derivati uguali a quelli di altri mercati, generando una vera concorrenza.

In conclusione l’acquisto del gruppo NYSE, Liffe incluso, da parte dell’ICE, garantirebbe al neonato dalla fusione, di competere ad armi pari con l’Eurex.

Con l’accordo tra Wall Street e l’ICe nascerà la prima Borsa mondiale

 La prima proposta dell’ICE (Intercontinental Exchange) per l’acquisto di Nyse Euronext è stato nel 2011, con un’offerta di 11,1 miliardi di dollari, ma l’accordo non fu raggiunto. La nuova proposta, invece, anche se più bassa – l’offerta per l’acquisto è di 8,2 miliardi di dollari – ha incontrato il favore di Wall Street.

Per ora si è giunti solo al consenso dei due consigli di amministrazione e il risultato finale dell’operazione si avrà solo entro la metà del 2013, se anche le autorità di regolamentazione dei mercati finanziari dell’Europa e degli Stati Uniti daranno il loro assenso. Nell’accordo si prevede il pagamento degli 8,2 miliardi di dollari per l’acquisto in contanti e in azioni della nuova società, di cui il 36% saranno date agli azionisti del Nyse.

Dal canto suo, l’ICE promette che sarà preservato il marchio Nyse Euronext e che la sede di Wall Street rimarrà quella tradizionale, come anche sarà mantenuto l’assetto dei vertici societari.

La vendita va a tutto vantaggio dell’ICE che, essendo specializzata nel trading di energia e commodity, con il controllo di Nyse può entrare nel mercato dei future di Londra, eliminando, di fatto, ogni possibili concorrenza.

Per questo si attende con trepidazione il giudizio delle varia autorità di vigilanza che, già nel 2011, furono contrarie alla fusione (all’epoca l’ICE si era alleata con il Nasdaq) proprio per il problema della tutela dell concorrenza sui mercati mondiali.

Il rischio Fiscal Cliff è sempre più vicino

 Il progetto dello speaker della Camera John Boehner, che prevedeva, nel caso l’accordo sul Fiscal Cliff non fosse stato raggiunto entro i termini previsti, un aumento delle tasse solo per coloro i cui redditi superano il milione di dollari, non ha raggiunto i voti necessari.

Nulla di fatto, quindi, e l’incombenza di trovare una nuova soluzione ora passa di nuovo nelle mani del presidente Obama che deve stringere i tempi. Infatti, se si vuole evitare il Fiscal Cliff, l’accordo deve arrivare entro il primo gennaio 2013.

Obama è già al lavoro insieme a Harry Reid, leader della maggioranza democratica al Senato, e il suo obiettivo è quello di riuscire a trovare un compromesso per non scontentare nessuna delle due ali del Congresso, la democratica e la repubblicana, e che, in modo particolare, tenga conto delle esigenze della classe media e delle piccole e medie imprese (se il Fiscal Cliff non sarà evitato, per queste due categorie l’aumento delle tasse sarà del 98%).

Il presidente è disposto a trattare ma il problema, ormai, non è più di natura economica, ma è diventato soprattutto politico e il fallimento del piano di emergenza di Boehner mette in serio pericolo la volontà di trattativa da parte dei repubblicani: se non hanno accettato un aumento delle tasse per redditi superiori al milione di dollari, saranno ancor meno disposti ad accettare il piano del presidente Obama che prevede gli aumenti già per i redditi di 400 mila dollari annui.

 

L’economia USA cresce più di quanto sperato

Gli analisti americani avevano previsto che l’economia americana sarebbe cresciuta del 2,7% nel terzo trimestre del 2012, con un possibilità di revisione al 2,8%, ma, dati alla mano, si sono dovuti ricredere e rivedere al rialzo le stime fatte.

Il PIL degli Stati Uniti, infatti, ha fatto registrare un aumento del 3,1%, l’incremento più forte dal quarto trimestre 2011.

Il merito di questa crescita del Pil tra luglio e settembre è stato dell’export, che è cresciuto dell’1,9%, quasi un punto percentuale in più di quanto si aspettassero gli analisti.

Di contro, però, va segnalato anche un forte calo dell’import, che,  diminuisce per la prima volta dopo il 2009. Chiaro indicatore del fatto che è il mercato interno ad essersi indebolito. Revisioni al rialzo anche per la spesa pubblica, che è stata rivista dal +3,5% a +3,9%, comunque stimata in calo per i prossimi trimestri, soprattutto a causa del Fiscal Cliff.

Infatti, nel caso in cui non si dovesse raggiungere un accordo, e le ultime notizie vanno in questa direzione, all’inizio del 2013 sull’economia americana potrebbe abbattere un costo di circa 600 miliardi di dollari tra tagli alla spesa pubblica e l’aumento delle tasse.

La fine dell’indipendenza del NYSE

 Le borse di tutto il mondo sono sempre più intrecciate tra loro per i traffici e per le reciproche influenze. Adesso dopo 200 anni, il New York Stock Exchange, noto anche con l’acronimo NYSE, ha rinunciato alla sua indipendenza e ha operato in vista del consolidamento delle borse cosiddette globali. 

In poche parole, l’agenzia che gestisce li scambi di Wall Street è stata comprata dall’InterContinentaExchange, che è il colosso dei mercati future che aveva provato anche negli anni passati a fare la stessa operazione. Il costo di questa operazione è stato di 8,2 miliardi di dollari.

A questo punto a scegliere dovranno essere gli azionisti del NYSE che potranno decidere di avere i solo soldi in contanti oppure potranno scegliere di averli sotto forma di titoli, oppure ancora una parte in denaro e una parte in titoli.

Ma chi guiderà questo nuovo colosso della finanza? Sulla poltrona più prestigiosa di questa borsa globale, si siederà il presidente e CEO dell’ICE, Jeffey Sprecher.

L’operazione non è stata ancora definita nei dettagli, soprattutto per quel che riguarda l’Europa dove l’ICE conserverà sicuramente il NYSE Liffe a Londra per i derivati e il marchio NYSE Euronxt, ma ci potrebbe essere uno scorporo dei mercati azionari nell’Europa continentale attraverso un collocamento.

Il costo dell’operazione di aggira sugli 8,2 miliardi di dollari.

Vicino l’accordo sul fiscal cliff?

 I giornali, in questa settimana, si sono spesi molto sulla questione del fiscal cliff guardando con entusiasmo al clima disteso del Congresso dove sembrava che fosse stata raggiunta l’intesa. Molti i titoli dedicati alle dichiarazioni ottimistiche di Obama.

Nella giornata di giovedì, ad esempio, era stato annotato un gesto di “apertura” da parte di John Boehner, tanto che Obama aveva rinunciato alla sua “conditio sine qua non” ed aveva accettato di aumentare le aliquote dei redditi al di sopra dei 250 mila dollari l’anno, fino alla nuova soglia di 400.000.

Alzare questa soglia, in termini economici, vuol dire che nelle casse dello stato entrerebbero 1.200 miliardi di dollari nell’arco di dieci anni. Una decisione da prendere alla svelta considerando che le agevolazioni volute di Bush Jr stanno volgendo al termine.

Lo spirito costruttivo che ha animato il dialogo tra Obama e le varie anime del Congresso, aveva dato fiducia anche ai mercati. Il Dow Jones, per esempio, ha chiuso con un aumento dello 0,75%, a quota 13.235,39. Un rialzo lieve, forse giustificato dal fatto che non era stato ancora dato nulla per cento.

Gli investitori avevano ragione: a distanza di 24 ore la situazione è di nuovo precipitata, nel senso che il piano di Boehner non è stato votato alla Camera perché ci si è resi conto che mancavano i voti necessari per l’approvazione del documento. Tutto è rimandato a dopo Natale.

Lite Obama-Boehner, lontano il compromesso sul Fiscal Cliff

Fiscal Cliff, ancora nulla di fatto. Nuove nuvole si addensano sui cieli d’America e l’accordo per raggiungere un compromesso funzionale ad evitare il precipizio fiscale è lontano. Il Presidente Usa Barack Obama non ha accettato il piano proposto dai Repubblicani. Un piano che, secondo Obama, prevede aumenti soltanto per coloro che guadagnano più di un milione di dollari all’anno.

La situazione di stallo, dunque, non sembra avere fine. Oggi verrà presentato il piano ma sembra non corrispondere all’obiettivo di raggiungere il compromesso fiscale promesso da Obama prima della sua rielezione. Obama vorrebbe innalzare le aliquote sui redditi più elevati. Una strategia, quella del Presidente Usa, necessaria per risanare il deficit.

Dalla Casa Bianca fanno sapere che vorrebbero che l’aumento delle tasse scatti a partire dai 400mila dollari annui, e non a partire dal milione di dollari. Anche se ieri in conferenza stampa Obama ha dichiarato che democratici e repubblicani sono più vicini, i conservatori sono visti dal Presidente come degli opportunisti. Il loro demerito è quello di voler rinviare l’intesa, senza pensare al bene degli Usa.

Quello dei Repubblicani è stato ribattezzato da Obama e dai suoi come un ‘Piano B’. Il Piano B, però, sarebbe per Obama una trappola atta ad evitare il Fiscal Cliff senza cambiare di fatto le cose. Si profilano, dunque, scontri sul bilancio del prossimo anno.

Successivamente a queste dichiarazioni, sono partite le schermaglie a distanza tra Obama e John Boehner. Quest’ultimo ha affermato alla Camera che se Obama dovesse rifiutare la proposta repubblicana sarebbe il responsabile del più grande aumento delle tasse della storia degli Usa.

 

L’avvio di settimana di Wall Street e Tokyo

 Com’è iniziata la settimana borsistica di New York? In rialzo ed è un’ottima notizia perché generalmente, prima della pausa natalizia, il mercato è caratterizzato da un’elevata volatilità. Piazza Affari, invece, ha incrementato i guadagni dopo che dopo l’avvio in grande forma delle contrattazioni di Wall Street e dopo aver registrato il rialzo della borsa di Tokyo.

Insomma l’entusiasmo delle borse asiatiche e di quella americana hanno traghettato piazza Affari in un terreno positivo.

Cos’ha inciso su Tokyo. La borsa giapponese è stata spinta al rialzo dal successo dei Liberaldemocratici di Shinzo Abe che è tornato al potere ed è stato nominato nuovo premier del Giappone. A livello pratico l’indice Nikkey è salito fino a quota 9.829 punti con un incremento dello 0,94%. Si tratta ad ogni modo del punto massimo raggiunto negli ultimi 8 mesi. In realtà l’incremento del Nikkey (+12%) delle ultime settimane, unito alla perdita di terreno dello yen (-5%), fanno immaginare che gli analisti avevano previsto il risultato delle elezioni.

Wall Street ancora stretta nella morsa del fiscal cliff.  Ancora una volta il mercato finanziario americano è chiamato a reagire con decisione al mancato accordo sul fiscal cliff e la reazione è sicuramente buona viso che l’indice Nasdaq e il Dow Jones stesso tengono il passo guadagnando rispettivamente l’1,04 e lo 0,67 per cento.

Internet in Italia costa meno

Il Presidente di Telecom Franco Barnabé si è soffermato sull’annoso problema dei costi della telefonia mobile e di internet.

I consumatori sperano in una diminuzione delle tariffe, ma Barnabé ha le idee chiare in proposito. Durante un intervento radiofonico, infatti, il presidente di Telecom ha affermato che l’Italia è uno dei Paesi al mondo in cui internet costa di meno.

Una sicurezza che deriva dal confronto tra i prezzi italiani, i prezzi europei e i prezzi americani. Secondo Barnabé i prezzi europei sono un terzo più bassi rispetto a quelli Usa. Perché?

Negli Usa molte offerte contemplano anche un pacchetto di canali televisivi, ragion per cui il prezzo sale.

Dopo le parole di Barnabé i consumatori non hanno molte chance di risparmiare sulla bolletta di internet. Gli abbassamenti del prezzo per i collegamenti al web, dunque, restano un’utopia. Il presidente di Telecom ha dichiarato che un ulteriore abbassamento dei prezzi potrebbe ridurre la capacità di investimento, nuocendo al mercato e dunque limitando ulteriormente la qualità futura dei servizi.

In altri termini, tenere competitiva l’offerta è sinonimo di qualità.

C’è però da dire che se i prezzi non calano sarà difficile prevedere un aumento dei consumatori.

Barnabé ha approfittato del lungo intervento radiofonico per difendere le infrastrutture italiane, sinonimo di grande qualità.

Nessuna critica, dunque, dal presidente Telecom al sistema dei collegamenti ad internet. Barnabé, anzi, critica gli italiani (“abituati a piangersi addosso”), che spesso si accorgono tardi dell’efficienza dei servizi a loro disposizione. Efficienza che secondo Barnabé è di gran lunga superiore a quella che gli italiani troverebbero in paesi come gli Stati Uniti e l’Inghilterra.

 

L’effetto della crisi sulle banche

 Chi se la passa bene e chi invece arranca. E’ questo l’enigma da sciogliere per investire in modo oculato nel settore delle opzioni binarie. Oggi a fare le spese della crisi ci sono anche le banche che hanno dovuto cambiare le loro modalità d’intervento nella vita del paese.

Basta osservare le azioni della Banca Centrale Europea, della Federal Reserve e della Bank of England per rendersi conto che qualcosa sta cambiando e bisogna provare ad interpretare il trend.

La Federal Reserve, di recente, è intervenuta nel merito delle politica economica americana spiegando che ci sono dei livelli da raggiungere in tema di disoccupazione e crescita e per questo i tassi, almeno per un po’, dovranno restare inalterati.

La BCE ha pensato bene di iniettare ancora nuova liquidità sul mercato per sostenere il sistema bancario e la Bank of England ha iniziato a pensare che insistere sull’inflazione ha poco senso. Insomma un po’ tutta la politica monetaria è in crisi.

In realtà il superamento del sistema dell’inflation targeting è fortemente sostenuto anche dal presidente della Bank of Canada che ha spiegato la necessità di andare oltre questo principio, molto comune in Gran Bretagna, ma anche nella zona Euro, in Canada e negli Stati Uniti. Solo così si può iniziare a “difendersi” dalla aspettative economiche distorte degli investitori.