La tassa sulle transazioni finanziarie, richiesto da Germania, Italia, Francia, Spagna e altri paesi dell’Eurozona, potrebbe rappresentare una salvezza per le amministrazioni tributarie nazionali e perciò, per il consolidamento dei bilanci sovrani. Lo dichiara un rapporto interno del Bundesministerium der Finanzen, il ministero delle Finanze federale, di cui espone il quotidiano liberal di Monaco Sueddeutsche Zeitung.
Stando ai calcoli realizzati dagli specialisti del ministero guidato da Wolfgang Schaeuble, il più autorevole della politica tedesca, la sola amministrazione fiscale tedesca avrebbe entrate tributarie maggiori quantificabili tra i 17,6 e i 18 miliardi l’anno, e la tassa – contrastata dagli ultraliberisti, e disapprovata nell’Unione europea dal governo britannico, esterno all’Eurozona – non causerebbe danni importanti all’attività economica, né in Italia nè nella Germania né negli altri Paesi.
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In teoria, prosegue il confidential paper del ministero delle Finanze federale, sarebbe probabile supporre perfino nuove entrate intorno agli 88 miliardi. Ma è meglio basarsi sul calcolo più cauto, di un accrescimento dei guadagni tributari proprio tra i 17,6 e i 18 miliardi, perché è naturale che alcuni operatori contrasteranno l’introduzione della tassa spostando le operazioni finanziarie in altri Paesi.
Ormai è da tempo che nella Ue si parla dell’introduzione della Financial transactions tax (Ftt), ma non c’è uniformità tra i 28 Stati membri. Per cui a Bruxelles, anche nel tempo di rinnovamento con il nuovo presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, e l’accordo in merito tra i suoi Popolari (Ppe) e i socialisti (Pse) secondo gruppo, comincia a farsi strada l’idea di iniziare avviando la Ftt anzitutto in alcuni paesi, che a Berlaymont e all’Europarlamento vengono definiti “coalizione della volontà”.