Nello specifico, la Commissione dell’UE prende di petto la questione sindacale: stando a quanto approntato dalla riforma, infatti, i lavoratori a termine non vengono considerati nel calcolo dei dipendenti complessivi di un’azienda ai fini della creazione di una rappresentanza sindacale, computo in cui rientrano solo i dipendenti aziendali per un periodo maggiore di nove mesi. Questo non è un problema che tocca solo coloro che non rientrano nella garanzia -i precari- ma anche i lavoratori con contratti a tempo indeterminato che vedono, con questa esclusione, assottigliarsi le possibilità di stabilire una rappresentanza sindacale nelle aziende che non raggiungono il numero minimo fissato per legge.
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Quindi, per la Commissione, la riforma non è in linea con quanto legiferato dall’Unione europea per le garanzie sindacali dei lavoratori precari. Una situazione, questa, che non è da attribuire solo alla riforma della Fornero, ma a lacune legislative pregresse che la riforma in questione non è riuscita a sanare.
Per domani si attende, stando a quanto rivelano le fonti, l’invio di un parere motivato contro l’Italia per la non corretta applicazione della direttiva Ue del 1999 che regola i diritti dei lavoratori a termine.