Sui conti pubblici italiani è piombato, da qualche mese a questa parte – anche se la notizia è stata diffusa da Repubblica e dal Financial Times solo questa mattina, un terribile sospetto. Sembra infatti che i derivati del Tesoro, accesi negli anni ’90, prima che l’ Italia entrasse nella moneta unica, abbiano provocato un buco potenziale da 8 miliardi nei conti dello Stato.
I condizionali in queste circostanze sono ancora d’ obbligo, ma è possibile almeno ricostruire gli snodi principali della vicenda.
I vecchi derivati degli anni ’90, infatti, emessi dallo Stato anche per agevolare una più rapida entrata dell’ Italia in ambito euro, sono stati soggetti ad una rinegoziazione nel 2012, fatto che ha portato i relativi dati ad entrare in quel report semestrale che il Ministero è tenuto ad inviare periodicamente alla Corte dei Conti a scopo di revisione.
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Ed è’ proprio dalle verifiche effettuate ad inizio 2013 dalla Corte dei Conti che sono nati i primi sospetti sull’ integrità dei conti pubblici, sospetti che hanno prodotto un più approfondito accertamento da parte della Guardia di Finanza.
Ma la richiesta, da parte delle Fiamme Gialle, dei contratti di stipula dei vecchi derivati, da aprile ad oggi non ha avuto ancora risposta, così come sembrano essere attualmente piombati in un completo silenzio stampa sia il Ministero, sia la Corte dei Conti che la stessa BCE, presieduta, al tempo della stipula dei prodotti finanziari in questione, da Mario Draghi.
Il sospetto che si diffonde oggi è dunque che la rinegoziazione dei derivati nel 2012 da parte dei grandi istituti di credito internazionali e l’ incombere della crisi economica, con tutte le sue ansie sulla riduzione del rischio, abbiano fatto solo allora emergere l’ esistenza di una perdita potenziale da 8,1 miliardi di euro nei conti dei vecchi derivati.