La Repubblica del Venezuela ha ceduto alla banca statunitense Goldman Sachs Petrocaribe, credito petrolifero di 4,09 miliardi di dollari vantato dal Paese nei confronti della Repubblica Dominicana. Si tratta di un accordo finanziario di straordinaria rilevanza.
L’intesa è stata sottoscritta con un forte sconto per Goldman Sachs. Il Venezuela ha infatti incassato dalla vendita soltanto il 41% del valore del credito, pari a 1,75 miliardi di dollari.L’operazione, pertanto, si è configurata in una cartolarizzazione, la quale vedrà il nuovo creditore ottenere un rendimento annuo del 10-12%, da qui ai prossimi sedici anni.
Il credito è datato 2005, e venne stipulato per 8,224 miliardi, di cui 4,262 miliardi a un tasso annuo dell’1% per 23 anni e 2 anni di grazia, per cui dovrebbe scadere nel 2030. Proprio quest’ultima parte, senza contare i 140 milioni che la Repubblica Dominicana ha rimborsato al Venezuela sino ad oggi sotto forma di spedizioni di fagioli neri e altri prodotti domestici, è quella che riguarda la vendita del credito.
Il segnale è allarmante. Se è vero che diversi economisti stanno storcendo il naso in patria, parlando di “svendita” del patrimonio nazionale, in realtà, l’operazione potrebbe rientrare tra quelle di cui il Venezuela ha bisogno per garantirsi l’ingresso immediato di dollari, sempre più rari e preziosi a Caracas, dal momento che il petrolio (97% delle sue esportazioni) è crollato a 68 dollari al barile.
Il punto è proprio questo: a costo di di ottenere dollari nell’immediato, il Venezuela è sceso a patti col “demonio”, anche se nei mesi scorsi aveva siglato un’operazione simile con la stesso gruppo bancario, locandole un certo quantitativo di oro. La cartolarizzazione delle scorse ore, lontano dal rasserenare i mercati, al contrario, sarebbe la spia di un grave deterioramento delle finanze nazionali.