Gli enti no profit, per definizione, non traggono profitti dal loro operato nel senso che quanto guadagnano deve essere reinvestito nelle attività di utilità sociale. Eppure questo non vuol dire che non pagano le tasse o che sono in un regime di extrafiscalità. Anzi, gli enti no profit devono sottoporsi al prelievo dei tributi che cambia sulla base del tipo di attività svolta.
► L’esenzione IMU degli enti no profit
Una sentenza della Corte di Cassazione, la numero 4147 del 20 febbraio 2013 è tornata sull’argomento, prendendo in esame soprattutto le associazioni sportive dilettantistiche. Queste organizzazioni, a livello quantitativo, sono le più diffuse nel nostro territorio.
►Da chi dipende l’ingovernabilità italiana
In presenza delle condizioni indicate dalla legge, si può ottenere l’applicazione di un regime tributario di favore ma mai bisogna pensare di “farla franca” non dichiarando alcunché. L’articolo 148 del Tuir, infatti, spiega che per gli enti no profit è esclusa la commerciabilità, quindi la tassazione sulle attività svolte per attuare gli scopi istituzionali e rivolte agli associati.
Se però ci sono delle attività rivolte al mercato, bisogna distinguere i costi, quelli comuni e i profitti che ne derivano. Il problema è che negli anni, dietro tante associazioni no profit, sono state mascherate soltanto delle attività commerciali, si pensi ad esempio alle varie palestre, piuttosto che alle discoteche o ai ristoranti.