Da gennaio è prevista una nuova accise che andrà ad incidere sul prezzo di vendita delle birre. Le imprese hanno spiegato che così lo Stato ci guadagna, ma nemmeno più di tanto ma le conseguenze a livello di occupazione sono disastrose. Il fenomeno spiegato in modo analitico.
I produttori di birra hanno già recuperato una serie di testimonial illustri per portare avanti la campagna #salvalatuabirra, contro l’aumento dell’accise previsto a gennaio. Il provvedimento governativo, infatti, sembra impartito dall’alto e spalmato su tutti mentre va ad incidere sull’intera filiera e mette in ginocchio le aziende del settore, i birrifici di ogni dimensione.
> La birra tedesca è un cartello
Per questo è stato anche organizzato un convegno qualche giorno fa a Roma, chiamato “La filiera italiana della birra. Ridurre la pressione fiscale per continuare a creare valore e occupazione”, presieduto da Assobirra, Confagricoltura, Confimprese e Fipe-Confcommercio.
Dati alla mano si prende atto di una riduzione dei consumi già nella stagione estiva che, notoriamente è quella in cui si consuma più birra. Bene, in estate le vendite sono crollate del 26%. Un calo preoccupante che è causato, dicono i ricercatori, proprio dall’aumento del prezzo di base di questo prodotto, voluto dal Governo Letta. In più, da gennaio, ci sarà un altro incremento dei costi.
Il settore ha vissuto un periodo di forte espansione legato anche all’incremento del consumo di birra. La filiera vale 3,2 miliardi di euro e garantisce oggi 136 mila posti di lavoro con più di 200 mila imprese nel territorio nazionale. Gli economisti allora, cercano di scongiurare l’accise del nuovo anno spiegando che se le tasse si attestassero al livello della Germania o della Spagna (che hanno delle tasse rispettivamente 4 e 3 volte inferiori alle nostre), la filiera della birra sarebbe in grado di generare 20 posti di lavoro al giorno per un totale di 7000 posti di lavoro in un anno.