Stanno pian piano ritornando dalla Cina, dal Bangladesh, dalla Romania, sulla Riviera del Brenta, sull’Appennino tosco-emiliano, intorno a Firenze. In particolar modo dopo la crisi del 2008, un numero in aumento di imprese italiane sta rinunciando alle strategie di delocalizzazione facendo tornare in patria intere linee produttive.
È un evento mondiale, dall’America all’Europa. Negli Stati Uniti, si parla di rinascita dell’industria manifatturiera nazionale. I numeri, iniziano ad essere significativi, dice Luciano Frattocchi, dell’università dell’Aquila. Con colleghi di Catania, Udine, Bologna, Modena e Reggio, Frattocchi ha dato vita ad un gruppo di ricerca – UniCLUB MoRe – che tiene il conto.
> Il Ministro Guidi sprona le Imprese italiane a “tenere botta”
Negli Stati Uniti sono 175 le scelte di rimpatrio, totale e parziale, di produzione. E dopo gli Usa, la classifica mondiale dei ripensamenti trova le aziende italiane, con un’impennata iniziando dal 2009. Sono 79 unità produttive, che interessano circa sessanta aziende. Circa il doppio di quanto accade in Germania, in Gran Bretagna o in Francia. In un momento di blocco del sistema industriale italiano,i presupposti a cui questi rimpatri si verificano, le loro giustificazioni, le scelte strategiche che sottacciono riescono a dire molto, già oggi, di come potrà essere la ripresa futura dell’economia italiana.
> Crescono le domande di finanziamento delle imprese italiane nel I trimestre 2014
Ormai sembra questa la strada maestra che paiono indicare le riorganizzazioni che, nel mondo, America in testa, accompagnano il rimpatrio delle aziende. Del resto la differenza fra i salari cinesi e quelli occidentali non è più grande come qualche anno fa e l’automazione permette di abbatterlo anche in patria. Unito ai costi di trasporto è una delle motivazioni principali che spinge le imprese al “back-reshoring”.