A molti potrà sembrare una prassi già consolidata. Certo è che, si reitera nel corso del tempo. Parliamo della pratica da parte delle banche dei paesi del sud Europa di vendere azioni e/o obbligazioni ai propri correntisti quando ci sono operazioni di rafforzamento del capitale.
E, in particolar modo, quando gli investitori istituzionali non vogliono comprare i prodotti che vengono loro offerti oppure se ritengono che lo siano a prezzi eccessivamente alti.
Ecco, allora, che viene avviata l’operazione “vendita allo sportello”. Ci pensa il Wall Street Journal a raccontare la trasformazione dell’impiegato di banca che diventa piazzista e viene “invitato” dai suoi responsabili a piazzare aumenti o nuove emissioni. Tutto legale e quindi tutto bene? Sulla prima parte abbiamo già detto. Sulla seconda è sempre Wall Street Journal a sottolineare come da un lato ci sia un evidente conflitto di interesse e dall’altra come gli investitori spinti a scommettere sui prodotti della “loro” banca in più di un caso di abbiano rimesso.
A farlo sono Bankia in Spagna e Banco Espirito Santo in Portgallo: in entrambi i casi, i risparmiatori hanno seguito le disavventure dei due istituti. Nella penisola iberica il rapporto di fiducia e correntista è consolidato, visto che il 55 per cento dell’azionariato del Banco Sabadell è composto da piccoli risparmiatori. Per l’Italia, l’articolo cita i casi di Veneto Banca e e Popolare di Vicenza: “Gli impiegati della banca – si legge nell’articolo – avevano promesso che le azioni messe in vendita non avrebbero perso di valore perché i due istituti non sono quotati in Borsa”. Una precauzione che non è bastata a metter al riparo gli investitori. Per non dire dell’altra pratica tipica per la vendita di prodotti bancari ai clienti: aspettare almeno un mese prima di veder liquidata la propria posizione.