Banda larga, il piano è da rifare

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Il premier Matteo Renzi ha commissariato il piano banda ultralarga da 6,6 miliardi di euro pubblici, extrema ratio per uscire dallo stallo. Al piano (2014-2020) è delegato il compito di dotare l’Italia di una rete comparabile a quelle delle altre economie europee.

 

Dalle notizie ufficiali pare che Renzi abbia preso in mano il piano, studiandone la fattibilità con Antonella Manzione, capo dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi.

Era stato proprio il Premier, con la consulenza di Manzione, a bocciare il mese scorso il decreto legge Comunicazioni, che doveva contenere le principali misure attuative di quel piano. Il problema: il decreto chiedeva uno stanziamento di 4,6 miliardi di euro di fondi pubblici nazionali (parte di quei 6,6) senza offrire ancora chiarezza sui tempi e i modi di attuazione di quelle misure. Non a caso, Raffaele Tiscar  –  che a Palazzo Chigi ha coordinato i lavori del piano  –  ha comunicato questo mese che il governo comincerà a spendere i soldi pubblici (solo) “dalla primavera 2016”. Ossia piuttosto tardi rispetto al previsto (si parlava di autunno 2015).

Ecco perché in questi giorni è cresciuto il nervosismo non solo dell’industria ma anche dalle Regioni. Le Regioni gestiscono 2 di quei 6,6 miliardi e alcune di loro (Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia) hanno già fatto arrivare a Palazzo Chigi il messaggio che, se il piano non si sblocca, cominceranno a spenderli per conto proprio e non necessariamente tutti per la banda ultralarga. “Il governo ha presentato il piano già a marzo e siamo nello stallo”, dice Elio Catania, presidente di Confindustria Digitale. “Se non sblocca i fondi entro settembre, perdiamo l’ultima chance per gareggiare alla pari, sulle infrastrutture, con le altre economie europee”, continua. Altro segnale: Telecom Italia ha chiesto che i primi bandi regionali arrivino entro fine anno. Il principale rischio è che si sfaldi tutto il piano nazionale, privato dei 4,6 miliardi nazionali e di parte di quei 2 miliardi regionali. Oppure, se si parte troppo tardi (nel 2016), sarà difficile utilizzare i miliardi entro il 2022 (oltre questa data, l’Europa si riprenderà indietro quanto non speso).

 

 

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