Spetterà alla Banca centrale europea aprire il mese caldo delle istituzioni monetarie centrali: giovedì si riunisce per la prima volta, a seguito della pausa estiva con molte turbolenze di mercato legate alla crisi cinese.
Quello che è certo è che il direttorio della Bce non toccherà i tassi d’interesse. Negli ultimi giorni gli analisti si sono piuttosto interrogati sul possibile ampliamento degli acquisti nell’ambito del Quantitative easing, il piano che coinvolge anche i titoli di Stato. Le parole del membro del Comitato Esecutivo Peter Praet hanno fatto saltare la mosca al naso degli investitori: ha sottolineato come “gli sviluppi dell’economia mondiale e dei prezzi delle materie prime hanno incrementato i rischi al ribasso del conseguimento di un’inflazione sostenibile al 2%” e ha aggiunto che il direttivo “monitorerà da vicino tutte le nuove informazioni. Non dovrà esserci alcuna ambiguità nell’auspicio e nella capacità del direttivo di agire, se necessario”.
In ogni caso, si attendono toni da “colomba” da parte del governatore Mario Draghi, dal quale gli osservatori si attendono il pieno supporto ai mercati e alla fragile ripresa economica. Ben più importante sarà il meeting del 16 e 17 settembre della Fed, dal quale potrebbero arrivare novità sull’innalzamento dei tassi d’interesse. I banchieri centrali americani sono nel mezzo di un dilemma: da una parte, l’economia Usa procede spedita e suggerisce una normalizzazione della politica monetaria; dall’altra, il pericolo di una ripresa delle vendite sui mercati asiatici e di una forte frenata dell’economia cinese non mettono gli Stati Uniti al riparo dalle turbolenze. Il vicepresidente Stanley Fischer, intervenendo al simposio dei banchieri centrali di Jackson Hole, ha ribadito che il rialzo avverrà “probabilmente in maniera graduale” alla luce della bassa inflazione.