Tutti i Paesi dell’Unione europea sono in attesa di un cambiamento. Nel nostro Paese lo scenario è quello dei prezzi congelati, incastrati su una variazione media uguale allo zero.
In Europa la tendenza è ancora più esplicita per via di un calo delo 0,2 per cento che autorizza a parlare di vera e propria deflazione. In entrambi i casi all’origine c’è la caduta delle quotazioni del greggio che trascina con sé i prezzi dei carburanti e degli altri beni connessi all’energia.
E sia da noi che in tutto il Vecchio Continente i dati di dicembre si configurano come un’inversione di tendenza in confronto alla momentanea ripresa dell’inflazione che si era registrata nelle settimane precedenti. Per ovvie ragioni, i valori medi riflettono situazioni differenziate: ad esempio si accentua il contrasto tra la discesa dei prezzi dei beni e la crescita di quella dei servizi (1 per cento nel nostro Paese e 1,2 in Europa, rispetto a dicembre del 2013).
Ma in queste ore l’attenzione non è tanto sull’analisi di quel che è accaduto, quanto piuttosto sulle previsioni di quel che potrà verificarsi sul fronte della politica monetaria.
Si aspetta ora che la Banca centrale europea passi davvero all’azione, avviando quelle misure non convenzionali che Mario Draghi si è detto pronto a mettere in campo per contrastare la deflazione. Anzi, secondo qualcuno potrebbe essere anche tardi: Sergio De Nardis, capo economista di Nomisma, pensa che il tempo già passato rischia di togliere efficacia alla strategia di quantitative easing, ovvero acquisto diretto di titoli del debito sovrano con l’obiettivo di immettere massicce dosi di liquidità nel sistema economico.
Anche le Borse attendevano segnali Francoforte e almeno per un po’ questo è bastato a spingere Milano, dove però hanno poi prevalso altre preoccupazioni. La convinzione di un rapido intervento della Bce ha invece spinto l’euro a quota 1,18 sul dollaro, ai livelli minimi da nove anni a questa parte.