Olivier Blanchard non è più il capo economista del Fondo monetario internazionale. L’ex docente del Mit lascia dopo aver portato a termine una rivoluzione copernicana, che ha totalmente rovesciato l’approccio del Fmi alle grandi scelte di politica economica.
Questa, sicuramente, è una buona notizia per i sostenitori dell’Austerity.
Principalmente durante gli ultimi quattro anni, gli economisti del Fmi hanno smontato, uno dopo l’altro, tutti i colossi del “Washington Consensus”, il manifesto neoliberale che, sull’onda reaganian-thatcheriana, aveva ancorato, dagli anni ’90, il Fondo alle ricette delle privatizzazioni, dell’abbattimento preventivo di tutte le barriere commerciali e finanziarie, della flessibilità del lavoro. E’ singolare che, mentre Blanchard e i suoi economisti, a Washington, provvedevano a seppellirlo, il “Washington Consensus” abbia trovato l’ultimo bastione a Berlino e fra i profeti dell’austerità. Fatte salve le buone maniere, dell’austerità Blanchard è stato il critico più feroce: con la sua uscita di scena, Varoufakis e Tsipras perdono un alleato prezioso, anche se, nel caso greco, la diplomazia ha impedito al Fmi di smarcarsi esplicitamente dalle autorità europee.
L’attacco di Blanchard all’austerità inizia nell’ottobre 2012, quando, nel documento più importante del Fmi, il World Economic Outlook si svuota e si contesta la premessa stessa dell’austerità. E’ il primo mea culpa: ci siamo sbagliati, dice in sostanza Blanchard, non avevamo calcolato che, quando la politica monetaria è impotente, perchè i tassi sono già vicini a zero e molti paesi tirano contemporaneamente la cinghia gli effetti delle politiche d’austerità sulla crescita sono maggiori del previsto, lo sviluppo rallenta e il debito, inevitabilmente, aumenta: il risultato, insomma, è il contrario di quello che si vuole.