Le Borse europee restano attanagliate nella fase di debolezza che nella sola giornata di lunedì è costata circa 800 miliardi di dollari di capitalizzazione al valore mondiale delle azioni. Il Vecchio Continente riesce a reggere il passo in virtù degli indici di fiducia in netto miglioramento.
Ma quanto durerà? Il rallentamento della Cina, confermato dal peggior calo degli utili industriali nell’ultimo quadriennio, e soprattutto la rottura del fronte delle materie prime, con il tracollo dei colossi del settore come Glencore, oggi in recupero, provocano non pochi problemi agli investitori. Costoro sono sempre più preoccupati.
Milano inizia gli scambi in calo di oltre un punto percentuale, poi risale fino a chiudere con una perdita minima pari 0,16%. Deboli, anche gli altri listini: Londra lascia sul terreno lo 0,61%, Parigi cede lo 0,31% e Francoforte lo 0,35%. Sempre in difficoltà Volkswagen e con essa tutto il comparto auto. Andamento in cauto rialzo per Wall Street, dopo i ribassi della vigilia: quando in Europa chiudono gli scambi, il Dow Jones sale dello 0,1%, l’S&P 500 e il Nasdaq salgono dello 0,25%.
In mattinata, a fare le spese della corsa alle vendite e della tensione sulle commodity è stata la Borsa di Tokyo, che ha chiuso in ribasso del 4,05% con il Nikkei a 16.930,84 punti: ha cancellato i suoi guadagni dell’anno, nonostante la politica accomodante della BoJ. In secondo piano il fatto che la fiducia tra le piccole e medie sia aumentata in modo imprevisto a settembre: l’indice è salito di 0,2 punti percentuali a 49, dal 48,8 del mese precedente e contro attese per 48,3. Andamenti in negativo anche per le altre Piazze asiatiche, che hanno sofferto con il comparto minerario: Shanghai ha chiuso in rosso del 2,02%, mentre a Sydney, la cui Borsa ha ceduto il 2,75%, Bhp Billiton e Rio Tintohanno perso rispettivamente il 6% e il 4%.