Sulla base di alcuni calcoli che tuttavia necessitano ancora di ulteriori conferme, si aggirerebbe fra gli undici e i tredici miliardi l’aggravio per lo Stato della bocciatura in Corte costituzionale del decreto sulle pensioni di dicembre 2011.
Ciò che per la legge italiana pare essere ovvio, per il bilancio pubblico è quasi impossibile e per l’area euro è qualcosa di già vissuto in passato. Un anno e mezzo fa la Corte costituzionale portoghese bloccò alcune misure del piano di salvataggio del Paese. E venerdì scorso la Consulta di Roma ha annullato una norma approvata a larga maggioranza in parlamento per permettere all’Italia di rispettare un trattato sottoscritto dal Paese: quello sulla partecipazione all’euro e il rispetto delle sue regole. Il governo del dicembre 2011, guidato da Mario Monti, congelò per circa ventiquattro mesi gli scatti su tutte le pensioni dai 1450 euro in su in modo da ridurre il deficit, rendere il debito più sostenibile, garantire la continuità degli impegni dello Stato. Oggi gli equilibri del Paese sono più stabili di tre anni e mezzo fa.
Tuttavia, il conflitto fra interpretazione della Costituzione italiana, regole europee e risorse appare più acuto che mai. Lo è al tal punto che, in ambienti del governo, sta emergendo una tentazione: chiedere un rinvio del caso alla Corte di giustizia europea, per chiarire se la sentenza della Consulta italiana sia coerente con gli impegni di bilancio firmati a Bruxelles. Il nuovo Patto di stabilità (il “Six Pack” e il “Two Pack”) sono inclusi nel Trattato, dunque hanno rango costituzionale e il diritto europeo fa premio su quello nazionale.