Mario Draghi, governatore della Banca centrale europea, ha incontrato (sempre) un grosso nemico sulla sua strada: la Bundesbank.
Il numero uno dell’istituto tedesco di riferimento, Jens Weidmann, ritiene che i governi europei dovrebbero focalizzarsi sulla crescita, piuttosto che sull’ormai prossimo quantitative easing. Quest’ultimo è l’acquisto massiccio di titoli, inclusi quelli di Stato, sul mercato. Una misura che la Fed ha attuato a più riprese nel corso della crisi economica e finanziaria recente, inserendo nel sistema ingenti quantitativi di liquidità e supportando così i mercati e l’economia stessa.
Una via che molti esperti ormai indicano come ineluttabile anche per la Bce, dal momento che la ripresa economica del Vecchio continente fatica ad esserci e soprattutto il livello di inflazione rimane asfittico. Il mandato dell’Eurotower statuisce che i prezzi si muovano poco sotto il 2% nel medio termine, ma gli ultimi dati provenienti da Bruxelles parlano di una crescita limitata allo 0,4%.
Sono risalenti solo a venerdì scorso, in questo senso, le parole di Draghi che i mercati hanno interpretato come una velocizzazione verso il quantitative easing. Ma per Weidmann, vi sono grossi problemi legali alla possibilità che la Bce acquisti titoli di Stato. Ora la frenata del governatore della Buba frena gli investitori:
I tassi di interesse bassi e le misure di stimolo nell’Eurozona possono supportare la domanda a breve termine, ma l’azione della Bce non è in grado di aumentare in modo permanente le prospettive di crescita. La crescita a lungo termine dipende dalla capacità dei Paesi di ridurre le barriere agli investimenti semplificando la burocrazia e le norme in materia di assunzioni e licenziamenti.