Per molto tempo, Campari ha dato grandi soddisfazioni ai suoi azionisti. Nel 2010, il brand ha realizzato un ottimo rally in Borsa raddoppiando le sue quotazioni.
Tuttavia, dall’autunno 2013 si è verificato un brusco dietrofront. Campari è arrivata a quotare i suoi massimi a 6,6 euro. A cosa è dovuta questa retromarcia? Oggi il gruppo quota sotto 5,2 euro con un rendimento borsistico negativo del 13% a un anno.
E mentre prima, quando tutto andava bene, era protagonista di acquisizioni in giro per il globo, ora Campari è reduce da dismissioni. Di cosa si tratta?
Soltanto prima di Natale ha ceduto Limoncetta in Italia e la divisione Agrichemical e farmaceutica in Giamaica.
Dismissioni che sono poco influenti per dimensioni e valore in rapporto a un gigante come Campari. Durante lo scorso anno, il brand ha fatto registrare ricavi per oltre 1,5 miliardi con un margine operativo lordo al 21% e un utile netto per 150 milioni. I numeri sono più che confortanti, e la redditività fa invidia a numerose società.
Ma la frenata in Borsa dura ormai da più di dodici mesi e per certi versi è inspiegabile. Certo, fino a settembre non è stato un 2014 facile. L’azienda del comparto beverage ha infatti mantenuto il fatturato sui livelli del settembre precedente con vendite pari a 1,06 miliardi.
Tuttavia, anche se il fatturato ha tenuto la redditività industriale è scesa dopo molti anni per la prima volta sotto quota 20%.
Il margine operativo lordo si è contratto sui dodici mesi del 15,6% a quota 189 milioni e vale oggi il 18% delle vendite.
Anche gli utili sono in frenata, poiché sono scesi del 21,8% a quota 117 milioni.