La procura generale della Corte dei Conti ha comunicato di aver scoperto un buco pari a 677 milioni di euro nei conti dello Stato.
Ciò si è verificato durante i primi giorni di luglio, prima della pausa estiva dei lavori e dopo otto anni di passaggi giudiziari in cui nessuno ha chiesto ragione del macroscopico ammanco. Si attende la ripresa dei lavori della Corte contabile per comprendere se l’accertamento della procura generale diventerà un vero e proprio processo.
Il vulnus che ha creato il buco, inizialmente di 758 milioni, nasce al momento del passaggio delle consegne nelle riscossioni fiscali tra le banche ed Equitalia, avvenuto nel corso del 2006. Le banche – quelle fin qui controllate dalla magistratura contabile (le agenzie emiliane, venete e friulane di Banca Intesa, Cassa di risparmio di Bologna poi diventata Intesa, Cassa di Risparmio di Ferrara e Montepaschi) – tra il 1990 e il 1994 avevano accumulato un credito di 758 milioni nei confronti di contribuenti che non avevano versato Irpef e Iva, né onorato le sanzioni amministrative. I quattro istituti di credito considerarono “il dovuto” inesigibile e scelsero di mettere questo “rosso” a bilancio. La verità che emergerà con l’ingresso nella riscossione di Equitalia sarà diversa: l’accumulo di credito non era inesigibile, semplicemente non è stato fatto nulla per riscuotere le cifre indicate nelle cartelle esattoriali.
Lo scoprirà presto – sostiene la Corte dei conti – il nuovo riscossore e lo dirà, successivamente, una sentenza di condanna della Corte dei conti dell’Emilia Romagna, che accerterà la mancata volontà di riscossione da parte degli stessi istituti di credito. Si legge nella sentenza del 26 ottobre 2011: “Molti atti sono stati redatti dagli ufficiali di riscossione nelle giornate di riposo o in un’unica giornata in numero sproporzionato”. Ancora, “diversi verbali apocrifi”, altri realizzati “utilizzando modelli standard compilati in maniera generica”. Sulla questione si aprì, tra l’altro, un processo penale al Tribunale di Bologna.