La crisi ha spazzato via 134.000 piccole imprese, in particolare nel settore dell’artigianato. Ne pagano le conseguenze anche i commercianti. In sostanza, chi ne risente è il lavoratore della categoria a partita Iva.
I dati provengono dall Cgia di Mestre, e sono stati ricavati calcolando il saldo nel periodo che va dal 2008 allo scorso anno, tra aziende nuove nate e quelle che hanno terminato la propria attività. Se tra i piccoli commercianti la “moria” sfiora le 64mila unità, tra gli artigiani supera quota 70 mila.
Facendo una somma dei risultati dell’una e dell’altra categoria all’appello sono assenti quasi 134mila piccole aziende. Colpa della mancanza di ogni misura di sostegno al reddito, che si verifica per tutti ad eccezione dei collaboratori a progetto che possono contare su un indennizzo una tantum. Gli artigiani e i commercianti non possono fruire dell’indennità di disoccupazione e di alcuna forma di cassaintegrazione o di mobilità lunga o corta. Spesso il loro futuro è incerto, oltre che pieno di debiti da pagare.
Così, molti imprenditori chiudono. I motivi sono molteplici: menzioniamo il costo dell’energia elettrica, aumentato in sei anni del 21,3%, il costo del gasolio (che è schizzato a +23,3%), mentre la Pubblica amministrazione ha allungato i tempi di pagamento di 35 giorni. Altre cause, stando sempre alla Cgia, derivano dalla situazione de credito: in questi sei anni – gli impieghi bancari alle imprese con meno di 20 addetti sono diminuiti del 10%.
In termini assoluti ciò è equiparabile ad una contrazione dei prestiti erogati alle micro imprese pari a 17 miliardi di euro. Infine, le tasse e la burocrazia. Tra il 2008 e il 2013 la pressione fiscale in Italia è aumentata di 1,7 punti percentuali, toccando l’anno scorso il record del 44,3%.