La Cina prova a contrastare il rallentamento economico del Paese con l’obiettivo di far ripartire la crescita ed evitare nuove cadute vertiginose in Borsa come quella che ha fatto perdere terreno al listino di Shanghai: il 30% della sua capitalizzazione rispetto ai picchi raggiunti a metà giugno è andato perduto.
A sopresa Pechino ha dunque svalutato lo yuan dando vita alla più importante operazione di politica monetaria degli ultimi vent’anni e portando la quotazione ufficiale della moneta nei confronti del dollaro a 6,2298 (-1,9%): “Si tratta di una misura una tantum” ha specificato la Banca centrale cinese.
Insomma mentre la Federal Reserve americana si prepara a rialzare i tassi d’interesse a settembre – e comunque al più tardi entro fine anno – la Banca centrale di Pechino è tornata all’azione con una manovra di alleggerimento monetario (quantitative easing) in salsa cinese allineandosi alle altre banche centrali del mondo.
In particolare Pechino ha tagliato il suo tasso (che permette al mercato una oscillazione giornaliera di circa il 2%) dopo che l’ancoraggio al dollaro ha colpito duramente negli ultimi mesi le esportazioni del paese asiatico. La mossa odierna, calcola la Bloomberg, è la maggiore da quando il paese ha unificato, nel 1994, i tassi ufficiali e di mercato dei cambi. Inoltre secondo quanto afferma la stessa banca centrale, va nell’ottica di lasciare al mercato maggiore disponibilità a determinare il cambio considerando alcuni parametri come la domanda e l’offerta e il tasso di chiusura del giorno precedente.
Se da un lato la svalutazione potrà frenare la fuga dei capitali e rianimare l’export, dall’altro la mossa è destinata a colpire il potere di acquisto dei consumatori cinesi su alcuni prodotti, soprattutto importati. La decisione delle autorità di Pechino arriva peraltro quando nella regione anche le monete dell’Australia, Corea del Sud e Singapore si sono deprezzate aumentando i rischi di una ‘guerra delle valute’ che punti sulla svalutazione per rendere competitiva l’economia. Senza dimenticare l’enorme liquidità ancora in circolazione tra gli Stati Uniti e l’Eurozona.