Le aziende italiane fanno davvero troppa fatica a riuscire a sopravvivere in Italia e per questo motivo cercano rifugio in una dimensione internazionale sempre più spinta: è quanto afferma uno studio condotto e diffuso da Mediobanca, che si intitola «Dati cumulativi di 2050 società italiane». Nel 2013 i più grandi gruppi manifatturieri italiani con organizzazione multinazionale hanno prodotto il 67% dei propri beni all’estero pari a più dei due terzi. A tale notizia si può reagire in due maniere: una è domandandosi perché queste imprese non portino indietro le produzioni in Italia, così da creare nuova occupazione; la seconda maniera di reagire è di chiedersi che fine farebbero i posti di lavoro in Italia se queste aziende non fossero capaci di produrre all’estero gli utili che sorreggono i conti di tutto il loro sistema, inclusi quelli della poca parte italiana.
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Un’altra curiosità che viene fuori dalla ricerca è che le acquisizioni di aziende del Made in Italy fatte sempre più spesso da parte di stranieri riportano risultati inferiori alle attese: le aziende italiane dell’alimentare, dell’abbigliamento, dell’arredamento e dell’automazione hanno successi inferiori se la loro proprietà fa capo a un gruppo estero invece che a imprenditori italiani.
Dal 2008 a oggi il fatturato, a causa della crisi, è calato dello 0,8% per il Made in Italy restato in sedi italiane e invece molto di più (l’11,1%) per le imprese che sono state acquisite da stranieri, che in aggiunta hanno forte inclinazione a tagliare l’occupazione: -10,6% dal 2008, mentre per le italiane doc» il calo è stato solo del 2,2%.