La Germania ha iniziato dall’8,7% del 2007 per giungere al 5,3% nel 2013 e scendere ancora, al 4,9% a luglio, il più basso dell’Ue. In Italia c’era meno disoccupazione che in Germania, ma ora la situazione si è invertita. È normale che «il modello tedesco» diventi un’ispirazione. Nel 2003 il governo tedesco ha deciso di mettere mano in profondità alle norme del suo mercato del lavoro e del welfare. Lo ha eseguito con quattro operazioni successive formulate da Peter Hartz, ex consigliere di amministrazione della Volskswagen aggregato al governo Schroeder.
> Tasso di disoccupazione stabile in Germania
Un pò alla volta ha dato vita a un puzzle in cui la flessibilità delle forme contrattuali sia in entrata che in uscita, si inserisce con una struttura di ammortizzatori sociali che aiuta il disoccupato non solo dal punto di vista economico, ma anche da quello della ricerca di un nuovo lavoro. Poi un dialogo sociale aperto, che permette la partecipazione dei dipendenti alle scelte cruciali dell’azienda. E una efficace successione scuola-lavoro. È quindi un sistema a tutto tondo, con tanti piccoli pezzi collegati tra di loro.
Impossibile per l’Italia. Basti considerare il sistema degli ammortizzatori: in Germania è veramente universale, l’aiuto economico viene dato sia a chi perde il lavoro sia a chi semplicemente non lo trova. Per chi perde il lavoro c’è l’indennità di disoccupazione vera e propria che dura circa 12 mesi (60% dell’ultimo salario netto, 67% se ci sono figli a carico), se si cerca, c’è un sussidio somigliante al salario di cittadinanza chiamato “sicurezza sociale di base” che va da 251 a 374 euro mensili ai quali si associano aiuti economici per affitto, studio, riscaldamento, spesa alimentare.