Se esiste uno studio condiviso con altri professionisti anche se il dominus, il titolare dello stabile si accollasse tutte le spese, non potrebbe che portare in detrazione la sua parte. Una precisazione è arriva dalla Corte di Cassazione e dall’Agenzia delle Entrate.
Partiamo dal fatto di “cronaca” tributaria che è stato raccontato così dal Fisco:
L’Agenzia delle Entrate ha notificato a un contribuente, esercente la professione di avvocato, un avviso di accertamento per l’anno 2004, avente a oggetto, tra l’altro, il recupero a tassazione di circa 31mila euro di costi indebitamente dedotti per spese comuni dello studio legale, che non erano state riaddebitate agli altri professionisti, ma dedotte integralmente dal contribuente intestatario delle utenze.
Nel caso di specie, si tratta di uno studio organizzato in condivisione con altri professionisti in cui tutte le spese sostenute per la gestione relative al personale dipendente, banche dati, telefono, affitto dei locali e altre utenze sono state contabilizzate dal contribuente-titolare. L’ufficio ha contestato l’integrale ripartizione delle spese, rilevando che il contribuente avrebbe dovuto portare in deduzione solo le spese proporzionali e inerenti alla propria attività e ripartire i costi tra i vari professionisti in considerazione del fatto che una parte delle spese sono imputabili a servizi di cui hanno usufruito, in proporzione, anche gli altri utilizzatori dello studio.
La regola generale allora è che in caso si abbia uno studio in condivisione con altri professionisti, l’avvocato titolare può dedurre dal reddito soltanto le spese comuni relative ai servizi di cui ha usufruito in proporzione rispetto alla propria attività e a quella degli altri.
Non è ammessa la deduzione parziale delle spese se non c’è una documentazione relativa alla ripartizione dell’apporto che i colleghi offrono all’attività professionale. La sentenza di riferimento della Corte di Cassazione è la n. 16035 del 29 luglio 2015.