Il commercialista che per negligenza non abbia aiutato il suo cliente a cogliere l’opportunità del condono, deve risarcire al cliente stesso il danno. Lo ha stabilito la Suprema Corte parlando di mancata adesione a condono fiscale e ricorso in Cassazione.
Il condono è un’opportunità per molti contribuenti. Quelli che si affidano ad un commercialista devono essere messi al corrente della chance che il fisco offre loro. In caso contrario, se c’è un danno economicamente quantificabile relativo al mancato condono, il commercialista deve risarcire il cliente non opportunamente avvisato.
Lo ha stabilito la sentenza 11147/2015 della Corte di Cassazione prendendo in esame il caso di un contribuente che ha fatto causa al suo commercialista accusandolo di non aver avuto il giusto sostegno in una vertenza con l’Agenzia delle Entrate al punto da aver perso la possibilità di aderire ad un condono e soprattutto non informandolo che poteva ricorrere in Cassazione per la sentenza sfavorevole.
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La Cassazione ha stabilito che il commercialista accusato dal suo cliente non ha portato avanti un incarico ricevuto sempre dal cliente
con diligenza, provando di aver reso edotto il cliente sia delle possibilità di aderire al condono, sia della possibilità di impugnare la decisione sfavorevole della commissione tributaria di secondo grado.
Il professionista, per questo motivo, è stato condannato al risarcimento dei danni subiti dal contribuente con la rivalutazione e gli interessi. In realtà questa sentenza arriva dopo quelle del 2010 e del 2013 in base alle quali, sempre la Cassazione:
in materia di contratto d’opera intellettuale, ove anche risulti provato l’inadempimento del professionista alla propria obbligazione, per negligente svolgimento della prestazione, il danno derivante da eventuali omissioni deve ritenersi sussistente solo qualora, sulla scorta di criteri probabilistici, si accerti che senza quella omissione il risultato sarebbe stato conseguito.