Inizia una nuova settimana e i listini europei sono alla ricerca di stabilità dopo lo shock del referendum britannico che il 23 giugno scorso ha decretato la volontà di uscire dalla Ue, i maggiori osservatori economici fanno i conti dei possibili impatti del divorzio tra Londra e il Vecchio Continente: secondo l’agenzia di rating Standard&Poor’s il Regno Unito eviterà a malapena una recessione, ma i rischi di un quadro peggiore sono numerosi.
Il conto che il voto presenterà all’economia britannica è rilevante: per S&P l’uscita dalla Ue avrà un impatto negativo dell’1,2% sulla crescita del 2017 e dell’1% su quella del 2018. Non è un caso che il ministro delle Finanze di Londra, George Osborne, sia già al lavoro su possibili contromisure: pare che voglia ridurre sotto il 15% l’imposizione fiscale sulle imprese, per portarla vicino al 12,5% irlandese.
Per l’Eurozona, invece, di nuovo S&P stabilisce che la ripresa economica prosegua, ma conta nondimeno su un impatto negativo pari allo 0,8% nel 2017 e nel 2018. La Brexit – notano gli analisti – “avrà indubbiamente un costo in termini di crescita per l’Eurozona a causa di un livello più basso degli scambi commerciali e degli investimenti. Per contro, la risposta della Bce rappresenterà un fattore chiave di sostegno”. L’agenzia prevede inoltre che la Banca d’Inghilterra porti i tassi a zero entro fine 2016 e riprenda il programma di Quantitative easing nel 2017, malgrado la ripresa dell’inflazione dovuta all’indebolimento della sterlina.
Dal punto di vista politico, gli osservatori sanno che “le negoziazioni saranno difficili, visto che i leader europei vogliono evitare di creare un precedente che mostri che uscire dall’Unione sia possibile facilmente. Probabilmente le trattative dureranno almeno per i prossimi due anni”.