Crisi del rublo, tensioni geo-politiche, sanzioni alle banche, crollo delle quotazioni del greggio. Sono questi i principali fattori del tracollo economico in Russia.
Durante il 2014 il Paese ha fatto registrare una fuga di capitali pari a 151,5 miliardi di dollari. Nel 2013 era stata pari a 61 miliardi. Di questi, 48,2 miliardi sono defluiti nel primo trimestre, 22,4 nel secondo, 7,7 nel terzo e ben 72,9 nell’ultimo.
Le aspettative erano per una fuga non superiore ai 130 miliardi di dollari, ma putroppo le cose sono andate peggio di quanto ci si attendeva. Come accennato, il crollo del rublo, delle quotazioni del petrolio e le sanzioni imposte dall’Occidente contro le banche e le società russe hanno fatto si che la fuga dei capitali rappresentasse il 7% del pil russo.
Gli esperti, tuttavia, nel tentativo di gettare acqua sul fuoco aggiungono particolari importanti:
Eppure, dietro alle cifre ufficiali si celerebbe una verità diversa, per quanto rimanga la preoccupazione per i deflussi netti. E’ accaduto, infatti, che su ordine del governo, le banche e le società siano state indotte a ridurre il loro indebitamento verso l’estero, a compiere un’azione di deleverage, al fine di attutire al minimo le conseguenze dolorose della crisi valutaria e delle sanzioni finanziarie. Le banche avrebbero così rimborsato debiti per 45,321 miliardi di dollari, mentre il settore non bancario per altri 72,684 miliardi. In tutto fanno 118 miliardi di dollari, il 78% dei deflussi totali dello scorso anno. Dei restanti 33 miliardi, in parte potrebbe essere avvenuta una conversione dei risparmi delle famiglie in dollari, al fine di approfittare del crollo del rublo. Ovviamente, anche il rimborso dei debiti in valuta straniera è un sintomo della mancanza di accesso al credito internazionale, ma in sé non è negativo, perché presuppone un miglioramento immediato dei bilanci di banche e imprese.