L’oro crolla, reagendo malissimo alla velocizzazione degli acquisti di asset stabilita dalla Banca del Giappone. Dopo essere stato sotto pressione da giorni, questo metallo ha perso oltre il 3% cadendo fino a toccare 1.161,25 dollari l’oncia, il minimo da quattro anni.
Durante il tracollo è stato accompagnato dall’argento, che è calato fino a 15,76 $/oz per la prima volta da febbraio 2010, e dai titoli delle società aurifere, colpiti ancora più duramente del metallo che estraggono: l’Etf Market Vectors Gold Miners è ai minimi da ottobre 2008, mentre lo Standard & Poor’s/Tsx Global Gold Sector Index, riferito a 40 società, è calato addirittura si minimi da dicembre 2001.
Come si spiega questo tracollo?
Le politiche espansive del Giappone hanno scarso interesse per chi investe sul mercato dell’oro. O meglio: interessano solo nella misura in cui influiscono sul dollaro, e dunque sui tassi di interesse statunitensi, che in questo momento sembrano essere l’unico faro capace di orientare l’andamento del lingotto. L’annuncio a sorpresa della Boj, facendo crollare lo yen, un impatto sul dollaro ce l’ha avuto eccome: il biglietto verde, già in ascesa, è balzato ai massimi da sette anni sulla divisa giapponese e ai massimi da quattro anni rispetto al paniere delle dieci valute principali. Per l’oro è stata una débâcle. Il metallo, già oggetto di forti vendite in seguito alla riunione della Fed e ai dati sulla crescita Usa, ha perso quota sempre più rapidamente e con l’innesco degli “stop loss” (ordini di vendita automatici, finalizzati ad arginare le perdite su un investimento) ha travolto in rapida successione due importanti soglie tecniche: quella dei 1.200 dollari, che aveva già ceduto all’inizio di ottobre ed era stata nuovamente testata l’altro ieri, e quella dei 1.180 dollari, che invece resisteva da luglio 2010.