A seguito del dato da record registrato a ottobre 2014 che segnava il massimo storico dal 1977, si parla ancora di una crescita pari allo 0,2% per quanto riguarda il tasso di disoccupazione (che a novembre, dunque, ha toccato quota 13,4%), messa in luce nel mese di novembre, certifica un trend negativo a dir poco preoccupante.
Stavolta, infatti, c’è anche l’aggravante della leggera diminuzione in termini congiunturali del tasso di occupazione (-0,1%).
Associare, nell’eventualità, gli ultimi dati Istat sul lavoro al Jobs Act recentemente approvato sarebbe, per ovvie ragioni al momento, un esercizio pretestuoso. Ciò non toglie che il governo non può restare indifferente dinanzi a questi numeri: il numero di disoccupati risulta pari a 3 milioni 457 mila, aumenta cioè dell’1,2% rispetto al mese precedente (+40 mila) e dell’8,3% su base annua (+264 mila).
La crescita in concomitanza del tasso di occupazione e del tasso di disoccupazione rilevata nel mese di settembre era stato un segnale da non ritenere, in fondo, tanto negativo. Testimoniava, in definitiva, la volontà di molte persone di volersi rimettere in marcia nonostante il periodo di incertezza e di crisi.
Il tasso di disoccupazione, occorre ricordarlo, è un indicatore che tiene in considerazione il numero di persone che cercano lavoro sul totale della popolazione attiva, senza però trovarlo. Uno degli effetti della crisi è stato quello di creare un mercato del lavoro ancora più duale.
Tra il 2007 e il 2013, stando ai risultati trasmessi da una recente indagine del Centro Studi di Confindustria, i lavoratori tra i 25 e i 34 anni sono calati di 1,6 milioni di unità a fronte di un aumento (pari a 1,1 milioni) dei lavoratori over 55. In realtà il Centro Studi ha pure sottolineato che non vi è correlazione tra i due fenomeni, tuttavia l’indagine conferma un percorso decisamente più ostico per i giovani.