Per quanto fosse stuzzicante ritenere che dati sul lavoro Usa e Bce insieme potessero creare un mix esplosivo di volatilità e surriscaldare i mercati, la razionalità ci portava comunque a ritenere che il mercato si sarebbe più preoccupato di reagire nel breve alle comunicazioni provenienti da oltreoceano che a quelle che arrivavano da Francoforte.
Dopo l’ampio pacchetto di misure di Giugno che ha visto il taglio dei tassi e l’implementazione di nuove misure di iniezione di liquidità al sistema bancario, non ci si poteva aspettare molto di più di quanto poi in realtà è successo. Tassi naturalmente invariati, e la conferma che la politica monetaria sarà ancora più accomodante e che vi è unanimità all’interno del Governor Council nel contemplare la possibilità di utilizzare politiche non convenzionali in futuro.
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Mario Draghi ha poi esposto la sua litania circa una moderata ripresa ed un’inflazione che resterà bassa nel 2014 per risalire lievemente nel 2015 e nel 2016. Nessun cenno alla forza dell’euro, se non che il tasso di cambio comunque rappresenta una variabile fondamentale per l’obiettivo della stabilità dei prezzi che l’istituto di Francoforte si propone. Unico spunto probabilmente interessante è stato quello in cui il banchiere centrale ha affermato che se dovessero cambiare le valutazioni sull’inflazione, la BCE è pronta ad usare l’arma del programma di acquisto di asset su larga scala (il famoso quantitative easing per intenderci). Beh, poco altro da esemplificare. Ma era doveroso farne cenno. L’euro? Beh guidato esclusivamente dalla dinamica dollaro-centrica, e diremmo, per fortuna.