A partire dal luglio 2014 la tassazione sulle rendite finanziarie è passata dal 20 all’attuale 26% e questo influenzerà non solo gli investitori ma anche i risparmiatori. La polemica rimane più che mai accesa, e il fulcro è proprio il fatto che a pagare potrebbero essere anche coloro che hanno qualche piccolo risparmio messo da parte nonostante le difficoltà del periodo. Questo aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie servirà per recuperare le risorse per il taglio dell’Irap, e prevede un gettito di circa 755 milioni di euro che arriveranno da conti correnti, libretti postali e certificati di deposito, ovvero degli strumenti che hanno la maggior parte degli italiani.
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Un fine ‘nobile’, quindi, ma che avrà un costo anche piuttosto salato. A dirlo le stime degli aumenti sui conti correnti e gli altri strumenti finanziaria fatti dalla Cgia di Mestre, secondo le quali gli aumenti andranno da un euro all’anno per un conto corrente medio, fino ad arrivare a 170 euro. Il calcolo della Cgia è stato effettuato sulla giacenza media nei conto corrente italiani: su un totale di 38 milioni di conti correnti, in cui sono in giacenza 453,2 miliardi di euro, si può considerare una giacenza media per ogni possessore di conto corrente di 12.000 euro. Su questo tipo di giacenza viene applicato un tasso di interesse minimo (0,13%), che in un anno è pari a 15,5 euro l’anno. Con la tassazione al 26% l’imposta diviene di 4.03 euro all’anno, quindi si pagheranno 93 centesimi in più.
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Molto poco, a conti fatti, ma l’aggravio sale vertiginosamente per le giacenze medie più alte: tra i 10 e i 50 mila euro la tassazione arriverà a 2,3 euro l’anno, tra i 50 mila e i 250 mila a 26,1 euro, e, per giacenze sopra ai 250.000 euro l’aumento della tassazione sulle rendite catastali arriverà a 169,2 euro in più ogni anno.