Quella di ieri è stata una giornata molto difficile sui mercati europei. Il rally dello Yen, associato alle preoccupazioni provenienti dagli States, hanno condizionato le sedute.
Qui Wall Street: la Federal Reserve ha in mente di rialzare i tassi in maniera graduale nella seconda parte del 2015. Il dollaro forte rispetto all’euro, tuttavia, potrebbe minacciare la ripresa. A ciò si aggiungano le difficoltà create dal Quantitative Easing. Il piano lanciato dalla Banca centrale europea, che comprando titoli di Stato sul mercato secondario diminuisce i prezzi del debito sovrano europeo e colma di liquidità l’Eurozona contribuendo al deprezzamento della moneta, non sta dando i frutti sperati.
Questa strategia, dopo aver messo in ginocchio la Svizzera, incapace di difendere la parità tra euro e franco, adesso si ripercuote sul nord Europa, dove Danimarca e Svezia non riescono a controllare l’oscillazione delle proprie valute.
In ogni caso, ancora una volta il numero uno della Bce Mario Draghi rivendica l’efficacia della manovra:
La reazione dei mercati dimostra che l’operazione funziona, la Banca centrale europea sta sostenendo la ripresa. D’altra parte i dati macroeconomici in arrivo dall’Eurozona mostrano ancora segnali di sofferenza: in Germania l’inflazione a febbraio è salita allo 0,9%, mentre in Francia è salita dello 0,7% su gennaio, ma è scesa dello 0,3% sull’anno. Male anche il dato della produzione industriale europea che torna in contrazione a gennaio. Negli Usa, intanto sono calate a sorpresa le vendite al dettaglio (-0,6% a febbraio), mentre le richieste settimanali di sussidio alla disoccupazione sono scese a 289mila unità (-36mila).
Continua nel frattempo il calo dello spread nei confronti dei Bund sceso a quota 85 punti, ai minimi dal maggio 2010, mentre il decennale italiano sul mercato secondario rende all’1,11% (dopo aver toccato un nuovo minimo storico all’1,04%), meno dei Bonos spagnoli. L’euro chiude a 1,06 dollari, dopo aver toccato un nuovo minimo da 12 anni a 1,0494 dollari.