Continuano a gravare su Cupertino le accuse da parte del Senato americano. Apple avrebbe eluso le tasse per 74 miliardi di euro. In giornata è arrivato un rapporto di quaranta pagine che mette seriamente nei guai l’azienda californiana, rea di non aver ottemperato alle sue responsabilità fiscali. Dettagli, dati, riferimenti e statistiche sembrano inchiodare Tim Cook e i suoi.
Il documento illustra il modo in cui la società fondata dal compianto Steve Jobs sarebbe riuscita a gabbare il Fisco.
Meccanismi ai confini della legalità le hanno consentito di pagare meno tasse.
In breve, Apple è una società Apolide. Come tutte le società Apolide non paga le tasse. Tim Cook, probabilmente, lo sa benissimo ma ha cercato di rispondere colpo su colpo alla commissione del Senato senza far capire che il suo è stato un vero e proprio escamotage.
Nel contempo, dinanzi ai suoi capi d’accusa, Cook ne ha approfittato per chiedere un regime fiscale più equo Apple vorrebbe un’aliquota non superiore al 10%.
Dall’Irlanda a Singapore: la ‘ragnatela’ intorno alla mela morsa
In risposta, però, è arrivato solo un pesante rapporto da parte del Senato. Un diagramma a pagina venti illustra la tessitura delle società Apple. Una vera e propria ‘ragnatela’ cucita ad hoc per non pagare tasse. Dalla maggiore Apple Inc. con sede negli Stati Uniti si passa immediatamente alla Apple operations international (AOI), con sede in Irlanda e nessuna residenza fiscale dichiarata. Nell’attività della Aoi confluirebbero – sempre secondo la ricostruzione del Senato – almeno altre quattordici società.
Tutte operanti in Irlanda (con o senza residenza fiscale), tranne Una, la Apple South Asia Pte Ltd, che ha sede a Singapore. Forse non un caso, visto che uno studio recente ha sentenziato che, in fatto di paradisi fiscali, entro il 2020 Singapore sarà la nuova Svizzera.