C’è aria di grandi novità in Europa. Dopo il treno accelerato dell’Unione bancaria la Commissione di Bruxelles squaderna la Capital market union, progetto magno che fin dall’autunno comincerà a cambiare i connotati alle economie dei 28 paesi membri, per renderle più solide e omogenee.
L’obiettivo, da molti sperato, è di aumentare i flussi di finanziamento interni e stranieri al sistema delle imprese, riducendone lo storico appiattimento sul settore bancario. Inutile dire che l’Italia, paese tra i più sbilanciati quindi penalizzati (il credito bancario alle imprese è il 53% del Pil) potrebbe guadagnarci anche molto.
La Commissione ha dichiarato che se il mercato dei capitali europeo avesse avuto le caratteristiche di quello statunitense, tra il 2008 e il 2013 le imprese domestiche avrebbero avuto 90 miliardi di fondi in più rispetto a quelli, calati di circa 600 miliardi, trasmessi dagli istituti mentre navigavano tra gli scogli della crisi e le nuove regole più dure. U n recente studio del thinktank New Financial, citato dal Financial Times, conclude che «ad avere più benefici dalle riforme in partenza saranno i paesi con i mercati meno sviluppati, che sono quelli più a Sud e a Est del continente.
Il settore dei bond ad alto rendimento in Europa, messo a paragone col Pil, è circa un terzo di quello degli Usa, e quasi inesistente se si eccettuano Gran Bretagna, Francia e in parte la Germania». Il progetto mira ad ampliare la profondità e l’integrazione
del mercato dei capitali, riducendone la frammentazione e migliorando l’accesso al finanziamento degli operatori. Cinque sono le direttrici prioritarie (che non si tramuteranno in una direttiva ma in molte, insieme a norme e raccomandazioni ad hoc): facilitare la redazione dei prospetti informativi, costruire un mercato dei capitali efficiente e sostenibile per le Pmi, rivitalizzare le cartolarizzazioni, incrementare gli investimenti a lungo termine, sviluppare i collocamenti privati.