I dubbi della Fed gettano i mercati emergenti in un vortice di volatilità sui cambi e sui movimenti di capitale, stimolando ancora i timori sul debito di quei Paesi.
Alcuni di essi, preda dell’incertezza, in occasione della riunione annuale del Fmi, quest’anno tenutasi a Lima, hanno inviato un messaggio alle controparti americane: basta tentennamenti.
“Ritardare non risolverà la situazione”, ha affermato Sukhdave Singh, vice governatore di Bank Negara Malaysia. “Se i mercati emergenti si sono addossati troppo debito, arriverà il giorno della resa dei conti. Ritardare l’aumento dei tassi non risolve il problema”. Una volta che la Fed agirà, gli investitori riporteranno il denaro negli Stati Uniti, mettendo a secco di capitali i Paesi emergenti, indebolendone le valute e facendo salire l’inflazione.
Dopo stimoli monetari senza precedenti negli Stati Uniti, le preoccupazioni circa l’operato della Fed hanno consumato le economie emergenti negli ultimi due anni. Ma molti al meeting del Fmi, che si è chiuso domenica, ora preferiscono la sicurezza alla prolungata agonia dell’attesa e l’hanno manifestato a chiare lettere.
“Quest’anno, rispetto a quello scorso, molti governatori di banche centrali dei mercati emergenti e altri hanno premuto affinché la Fed si decida, non perché fossero favorevoli a un aumento dei tassi, ma perché intendono ridurre l’incertezza”, spiega Tharman Shanmugaratnam, vice primo ministro di Singapore ed ex capo del Comitato direttivo del Fmi.
Ma i mercati emergenti non sono gli unici a spingere per l’intervento della Fed. Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, ha dichiarato che la prospettiva di ripercussioni sui mercati emergenti a causa di deflussi di capitale indotti dalla Fed “non è un motivo” per ritardare l’aumento dei tassi, che è giustificato dai dati. “Sarebbe una reazione a un’economia più forte e in fondo sarebbe una buona notizia per l’economia di tutto il mondo”, ha aggiunto.