Quando siamo ormai vicinissimi al negoziato tra Unione europea e Stati Uniti relativo ad un accordo di libero scambio, libero scambio la Commissione di Bruxelles spera di avviare prima dell’estate con l’obiettivo di un’intesa entro la fine del 2014, la Francia scende con decisione in battaglia. Parigi formula la richiesta di escludere esplicitamente l’industria culturale, e nello specifico il cinema e l’intero settore degli audiovisivi, dal testo del mandato negoziale affidato al commissario Karel De Gucht. Al momento la versione stilata lo scorso 13 marzo, contempla invece cinema e audiovisivi.
Occorre ricordare che proprio la Francia ha inventato il concetto di “eccezione culturale” traducendolo in norme e regolamenti, al fine di difendere appunto la propria industria culturale – cinematografica in primis nonché l’industria musicale dall’invasione statunitense. Una battaglia iniziata già nel dopoguerra, dal ministero della Cultura con allora a capo André Malraux, ma che si è tradotta in una strategia organica nei primi anni 90, quando all’Eliseo c’era François Mitterrand.
D’un lato in virtù del sostegno pubblico al comparto e dall’altro con il sistema delle quote. I provvedimenti sono molti. Ecco i più importanti e simbolici:
– istituzione di un fondo di finanziamento della produzione cinematografica alimentato da un prelievo dell’11% su ogni biglietto e dal versamento di una parte del loro fatturato da parte delle società televisive (più oneroso per le pay tv), per un totale di circa 700 milioni all’anno;
– l’obbligo per gli operatori tv di destinare una parte dei loro ricavi alla produzione di film francesi ed europei (fondi che rappresentano in media il 35-40% del budget)
– obbligo di quote di diffusione di musica francese ed europea e di film francesi ed europei da parte di radio e televisioni;
– la nascita di una specie di super cassa integrazione per i lavoratori dello spettacolo nei periodi in cui non ricevono una retribuzione.