L’Italia fa segnare un netto aumento degli investimenti da parte delle imprese straniere. Una buona notizia per il governo, il quale ha licenziato (e si appresta a veder pubblicato in Gazzetta Ufficiale) il testo sui ‘patent box’, gli sgravi per marchi e brevetti, proprio con l’obiettivo di difendere la competitività fiscale del Belpaese dagli altri sistemi vantaggiosi che si sono via via affermati nell’Unione europea.
Durante lo scorso anno gli Ide (Investimenti diretti esteri) in entrata in Italia ammontavano a 281,3 miliardi di euro. Rispetto al 2013, sono aumentati di 9,5 miliardi, pari ad un incremento percentuale di 3,5 punti. Nessun altro Paese ha conseguito uno score migliore. Tra tutti i paesi dell’area euro solo l’Italia, la Slovenia (+3,5%) e la Finlandia (+2,2%) hanno conseguito un risultato positivo. I dati sono stati resi noti dalla Cgia di Mestre e seppur positivi risentono di una scarsa crescita del Pil.
Sul dato positivo ci sono però diverse riflessioni da fare, che smorzano l’entusiasmo. Innanzitutto, sul fatto che la crescita registrata ancora non intacca il ritardo complessivo della Penisola. L’elaborazione della Cgia infatti si basa su dati dell’Unctad (Conferenza delle Nazioni Unite sul Commercio e lo Sviluppo) e sebbene i dati relativi al flusso in entrata presentino un segno positivo, la situazione dello stock degli Ide in percentuale al Pil italiano rimane allarmante. Con un misero 17,4%, anche nel 2014, così come è avvenuto dall’inizio della crisi, l’Italia è in coda alla graduatoria europea. Solo la Grecia registra una situazione peggiore della nostra (8,5%).
Per Paolo Zabeo della Cgia a limitare o allontanare gli investimenti stranieri in Italia sono “l’eccessivo peso delle tasse, le difficoltà legate ad una burocrazia arcaica e farraginosa, la lentezza della giustizia civile, il ritardo dei pagamenti nelle transazioni commerciali, il deficit infrastrutturale e il basso livello di sicurezza presente in alcune aree del paese”.