L’Iva è sulla carta una imposta statale. Di fatto però è un’imposta territoriale. Un connotato che trascende la sua ‘identità’ e che ritroviamo all’atto pratico. In larga parte, infatti, l’Iva finisce alle regioni. In altri termini, anche l’acquisto di un caffè al bar o di un abito in un negozio finisce con il sovvenzionare gli enti in questione. C’è di più: l’Iva si configura come uno dei veri e propri capisaldi in termini di salute dei conti pubblici regionali. ‘Merito’ del suo raddoppio negli anni. Introdotta a partire dal 2001, in 13 anni il suo valore è cresciuto esponenzialmente. Nel 2001 la sua compartecipazione regionale si attestava intorno a un valore di 29,3 miliardi di euro. Due anni fa, invece, schizzò a 53,5 miliardi. Si parla, pertanto, di un aumento dell’82,6% in dodici anni. In altri termini, l’Iva ‘regionalizzata’ assorbe ora la metà dell’imposta. Dodici anni fa ne assorbiva ‘solo’ un quarto.
> Guida al rapporto tra Iva e Regioni: gli effetti del Sistema Sanitario
Per quanto concerne il rapporto tra Iva e Regioni, l’imposta è stata introdotta a seguito del decreto Bassanini nel 2000. Parliamo dell’introduzione successiva al Dlgs 56/2000. Si era nel ‘tempo’ del primo ‘Federalismo Fiscale’, redatto con la legge 133 nel 1999. Al tempo l’Iva era uno strumento atto a compensare le Regioni a seguito del depennamento di una serie di trasferimenti. Con il nuovo regime veniva ‘salutato’ l’addizionale delle regioni per ciò che concerneva l’imposta erariale di trascrizione.
Sparivano nel contempo la sovrattassa sul diesel e altri elementi cari al vecchio panorama italiano legato al Fisco. L’Iva diventava dunque a tutti gli effetti regionale e serviva inizialmente a finanziare il sistema sanitario.