Un’interessante articolo di Nicolò Cavalli riflette su uno spauracchio della crescita economica del nostro Paese. Laddove non è possibile attuare delle politiche di riforma del lavoro efficaci, chi è in cerca di un impiego pensa all’identificazione degli usurpatori del trono. Questo è il periodo dei robot.
Se la disoccupazione è in aumento soprattutto tra i giovani, è probabile che manchi il collegamento necessario tra le strutture formative e quelle professionali. La tanto amata alternanza scuola-lavoro di cui parla il Governo nella riforma della scuola.
Quando però non si è più parte del sistema d’istruzione, per cui non si può dare la colpa dell’inoccupazione alla poca aderenza di un percorso di studi alla realtà economica che viviamo, si cercano allora altri capri espiatorio. Va molto di moda e la politica lo sa bene viste le numerose strumentalizzazioni a riguardo, additare i flussi migratori seguendo il vecchio adagio che “gli immigrati rubano il posto di lavoro agli italiani“.
Elevando la discussione a toni più futuristici, adesso è molto chic variare l’identikit degli usurpatori del trono professionale, indicando invece la tecnologia come causa di ogni male. In questo secondo caso “i robot faranno perdere i posti di lavoro alle persone“.
Quando siamo a corto di nuovi nemici, però, bisogna fare i conti con la realtà e se affrontare il tema dell’immigrazione sotto il profilo economico, è eccessivamente complesso – bisognerebbe parlare anche di assistenza, servizi, tasse, regolarità, etc. – si può invece controllare che il secondo sia un nemico reale.
Nicolò Cavalli per Internazionale affronta proprio questo tema evitando di cadere nella tentazione luddista o di cedere al fascino dell’automazione. Quel che si rileva è però una forte disparità tra i lavori di routine sempre meno pagati e in minor numero e i lavori intellettuali non di routine che sono in crescita, con stipendi maggiori ma non sono sufficienti a trainare la ripresa.
> I robot rubano posti di lavoro (Internazionale)