Il divieto di commercializzazione dei sacchetti in plastica non biodegradabile, entrato in vigore in Italia il primo gennaio del 2011 che ha anche causato una lettera di richiamo da parte della Commissione europea al nostro paese, pone dei forti limiti all’economia italiana, sia per le aziende italiane che per quelle straniere.
A dirlo è il Consorzio Carpi, che parla in rappresentanza di società che si occupano della raccolta e del riciclo degli imballaggi in plastica terziari:
Il divieto di commercializzazione dei sacchetti di plastica non biodegradabili da parte del Governo italiano è in aperto contrasto con le regole di una qualsiasi economia di mercato che si definisca libera. Imporre la commercializzazione o meno di un prodotto, a favore della salvaguardia e tutela ambientale, deve essere il risultato di una scelta mirata, altamente studiata e non dettata da scelte di convenienza.
In sostanza la legge impone un vincolo di produzione (basti pensare ai diversi spessori che si devono prevedere in base all’utilizzo finale del sacchetto), che è molto difficile da rispettare e che, oltre a mettere in difficoltà le imprese italiane, allontana quelle straniere che vogliono puntare ancora sul nostro paese.
Ma non si tratta di una contrarietà all’oggetto in questione, ma alle modalità con le quali è stato deciso di operare che non hanno preso in considerazione il danno economico a cui si sta andando incontro. la tutela ambientale è un dovere da parte delle istituzioni e delle aziende, ma
è innegabile che la messa al bando dei sacchetti in plastica non biodegradabili ha creato non pochi problemi alle aziende del settore. Tutto questo in un contesto in cui non è ancora stata fatta piena chiarezza sui reali benefici dei sacchetti biodegradabili rispetto a quelli tradizionali.