Secondo alcuni recenti studi tra le imprese italiane, per lo più piccole e medie imprese con una alta percentuale di imprenditori oltre i settanta anni, è molto diffuso il modello del family business, cioè il passaggio automatico di padre in figlio delle realtà aziendali. Questo modello, tuttavia, non sembra essere più adeguato ai tempi della globalizzazione e ad un contesto estremamente competitivo come quello attuale.
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Ma se in Italia il modello del family business è una delle cause di molte occasioni di sviluppo industriale perdute, che cosa succede all’estero, presso gli imprenditori stranieri? Sempre secondo statistiche recenti, in Europa, a causa dei passaggi generazionali si perdono ogni anno più di 600 mila posti di lavoro. Questo modello di gestione aziendale, di conseguenza, non viene visto più come tanto efficiente.
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In molto paesi, anzi, si è capito che se prima bastava la conduzione familiare a far sopravvivere un’impresa e solo qualche decennio fa era sufficiente un manager, adesso le figure richieste sono molto più complesse. In Europa, quindi, l’applicazione del modello del family business non è più così automatica.
In Norvegia, ad esempio, si è riscontrato che l’applicazione del modello su 35 mila casi di passaggi generazionali ha innescato un trend negativo e oggi il family business viene applicato solo nel 10 per cento dei casi.
In Olanda, invece, il passaggio di padre in figlio è rispettato nel 30 per cento dei casi, mentre in Danimarca resiste per il 60 per cento. Le successioni, tuttavia, all’estero, sono sempre assistite, sia nel caso in cui i figli subentrino nella gestione sia in caso contrario.
All’estero sono anche più numerose le agenzie di consulenza che si occupano di questi passaggi.